In-balìa degli alieni

pim-off-teatro-milanoA zonzo#01 è lo spettacolo che chiude la stagione 2013 del teatro PimOff di Milano, tra umanità e ultracorpi, fughe e vagabondaggi.

Sulla scena tre personaggi in balìa – come sottolinea il nome stesso della compagnia che li porta in scena – di alieni che fluttuano tra l’essere entità extraterrestri e fantasmi interiori.

Marco Cacciola, Michelangelo Dalisi e Francesco Villano incarnano tre tipologie di esseri umani: dallo scienziato, o presunto tale, che gioca con le odierne nevrosi farmacologiche somministrando pastiglie a profusione, al rocker decaduto e indurito, seppur con venature malinconiche, dalla mancanza della propria amata, fino al credulone, una sorta di prete che finge di ascoltare il prossimo, ma finisce col voler parlare solo di sé.

Queste variabili umane si trovano a percorrere insieme un fantomatico tragitto – rappresentato da un tappeto verde che srotolano davanti ai propri piedi – alla volta di un centro di accoglienza che possa salvarli dall’invasione aliena.

Ma chi sono gli alieni? E perché ne abbiamo così tanta paura? In prima istanza, si è portati a immaginare gli extraterrestri come qualcosa di completamente diverso da noi – come il suffisso extra ben sottolinea. Qualcosa che sta al di fuori e che non ci somiglia affatto. In realtà, come si confidano i tre fuggiaschi, gli alieni sono uguali a noi. Niente teste verdi gigantesche, niente mani palmate o occhi sproporzionati. Sono come noi, si nascondono tra di noi, seguendo, secondo il millantatore di scienza, le nostre scie ormonali.

Ed ecco che allora scattano i sospetti, che ognuno guarda l’altro di traverso, per cercare di cogliervi un segno di “alienitudine”. Ecco che allora si diventa stranieri l’uno per l’altro: la sovrastruttura si abbassa dall’universo degli ultracorpi al genere umano, dalla vastità di galassie sconosciute e non luoghi immaginari, allo spazio ben più concreto di un tappeto srotolato dove, d’improvviso, ci si sente alieni e ci si guarda con diffidenza.

Il mondo cyber alla Blade Runner e la fantascientifica narrazione alla Asimov rappresentano la facciata esterna di questo spettacolo. Il richiamo più immediato è che l’umanità è in pericolo e che il pericolo è esterno.

Vi è, però, un altro livello di lettura, per quanto esso rimanga implicito e velato, veicolato soltanto da qualche frase che tende un po’ a perdersi tra le battute e l’ironia che popolano la scena.

È una domanda, quasi un sussurro, che ascoltiamo attraverso i sospetti reciproci dei tre personaggi e sentiamo ancor di più quando si scopre che la triade non sta andando verso il centro di accoglienza, ma vagabondando “a zonzo”.

E se fossimo noi gli alieni? Se fossimo noi, esseri umani, la sovrastruttura, il “grande Altro” di noi stessi? Dovremmo, appunto, vagare senza meta, sartrianamente nauseati, perché non ci sarebbe più alcun luogo di salvezza.

Ed ecco, allora, che all’immaginario fantascientifico alla Ridley Scott si sostituisce il presagio di un universo tarkovskjano, di atmosfere lynchiane, di fantasmi introiettati e alienazioni interiori.

Uno specchio lacaniano in cui ci si vorrebbe riconoscere hegelianamente nell’altro, per poi scoprire che il soggetto dell’al di qua dello specchio non coinciderà mai con la sua immagine riflessa. E non è un caso, forse, che Lacan definisca questo momento nei termini di “alienazione”.

Se il contenuto manifesto dello spettacolo è quello di una goliardica fuga da entità esterne e sovrastrutturali, quello latente – ben più interessante, seppur freudianamente nascosto – è il ritratto di una generazione in fuga da se stessa e in balìa di se stessa, delle proprie nevrosi e dei propri demoni interiori.

Non c’è nessuna meta da raggiungere in questo smarrimento generazionale che priva le più diverse tipologie di persone della certezza di un orizzonte, di un punto cui arrivare, di un nemico in carne e ossa da combattere.

I luoghi diventano non luoghi e non si sa più se bisogna proteggersi dai “grandi Altri”, dai “piccoli altri” o da se stessi.

L’unica cosa da fare, allora, è girovagare a zonzo, incrociare pezzi di umanità, raccontarsi stralci di vita intorno al fuoco, ricomporre i propri pezzi, tra narrazioni biografiche e silenzi, tra teorie esistenziali e riti improvvisati.

E poi ridere – come consigliano i tre dal palco – per scacciare tanto gli alieni fuori quanto quelli dentro.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro PimOff
Via Selvanesco 75 – Milano
21 dicembre 2013, ore 20.45

A zonzo#01
testo e regia InBalìa
con Marco Cacciola, Michelangelo Dalisi, Francesco Villano
assistente alla regia Jessica Leonello
scene e costumi di InBalìa con la collaborazione di Paola Tintinelli
luci di Luigi Biondi
voci registrate Alberto Astorri e Chloè Thill
organizzazione di Edoardo Favetti e Debora Meggiolaro
produzione di InBalìa Compagnia Instabile
con il sostegno produttivo di Residenza Idra e Centro Teatrale Bresciano
con il sostegno di Teatro Litta e PiM OFF di Milano