Ritratti d’Autore

In occasione del Festival Resistente, che si terrà i prossimi 24 e 25 aprile, presso il Teatro Oscar di via Lattanzio 58, intervistiamo il regista Alberto Oliva, che ha curato – insieme a Marco Pezza – il Progetto Soglie di Resistenza 2012 – di cui fa parte la due giorni milanese.

Dopo i numerosi progetti che la vedono impegnato in molti teatri milanesi e non, ha deciso di dedicarsi a Soglie di Resistenza, che la vede coinvolto anche in qualità di direttore artistico. Ci vuole spiegare di che cosa si tratta?
Alberto Oliva: «Soglie di Resistenza è il tentativo di liberare il termine Resistenza dalle sue ormai obsolete implicazioni politiche o, meglio, partitiche, per tentare di riportarlo al suo significato originale. Resistere è un fatto esistenziale, non l’appartenenza a un colore politico. Significa tentare costantemente di non essere assorbiti da qualcosa, mantenere la propria indipendenza fisica, morale, etica ed estetica. Il progetto si interroga su quali siano i limiti di questa indipendenza, le soglie oltre le quali mettere a rischio la dignità e il senso del nostro esistere quotidiano per sentirsi liberi. Fulcro del progetto è lo spettacolo In non celeste sonno, un testo di Paolo Bignamini. Accanto a questo debutto, abbiamo scelto di organizzare e ospitare al Teatro Oscar una piccola rassegna di spettacoli più direttamente legati alla Resistenza, per celebrare l’ormai bistrattata ricorrenza del 25 Aprile».

Come avete scelto gli spettacoli e in che modo ognuno di essi si inserisce nel progetto?
A. O.: «Abbiamo scelto quattro spettacoli fra loro molto diversi, ma accomunati da uno sguardo umano, non retorico e non sterilmente celebrativo, sulla Resistenza. Si comincia il 24 alle 19.30 con I colori del partigiano, una divertente ballata a opera di Adele Pellegatta e Silvano Piccardi, che ricorda alcuni uomini e donne che si sono distinti in Africa. Sarà poi la volta, alle 21.00, de Il più bello di tutti i fratelli, un testo di Aquilino con la regia di Maria Eugenia d’Aquino, sulla dolorosa e commovente storia della mamma dell’autore, raccontata da alcuni testimoni dell’epoca, ancora presenti per passarci un testimone di forza e tenacia del vivere. Il 25 aprile tocca alla giovane compagnia Eco di Fondo, animata da Giulia Viana e Giacomo Ferraù, con Le rotaie della memoria, sulla vita del partigiano Albino Calletti. Come vedete, sono tre storie di gente comune, non eroi o grandi nomi, ma semplici persone mosse dal bisogno di darsi un futuro in un’epoca nera. La Storia – con la S maiuscola – è sullo sfondo, in primo piano ci sono le piccole storie, che ci regaleranno momenti di solidarietà attraverso le epoche. Concluderemo, la sera del 25, con il recital di Andrea Labanca, Dalla Resistenza alla Costituzione, che, come recita il titolo stesso, è un viaggio che ci riporta qui, oggi, carichi di un’eredità di cui fare davvero tesoro».

Qual è lo scopo di questo progetto?
A. O.: «Fare il punto della situazione della nostra generazione. Cerchiamo di mettere insieme un po’ di frammenti di noi, raccogliere del materiale e svolgerlo davanti ai nostri occhi, in ordine sparso, con il piacere di analizzare i frammenti, andare a comporli e vedere cosa salta fuori. Magari solo un grande punto di domanda, oppure qualche risposta; forse uno spunto ad agire, ad approfondire, a inseguire un futuro che più si avvicina a noi e più perde di concretezza».

In questo momento, però, è in scena al Teatro Oscar il suo In non celeste sonno, un omaggio a Elio Vittorini. Che cosa significa per lei questo spettacolo?
A. O.: «Lo spettacolo nasce dalla volontà di confrontarci con la generazione che aveva 25 anni durante la Resistenza, quella raccontata magistralmente da Elio Vittorini in Uomini e no, ma è chiaro che punto fondamentale del progetto è la posizione della nostra generazione che scaturisce da quel confronto. È stato uno tra gli spettacoli più difficili che abbia messo in scena finora. Forse il più difficile, perché è quello che più direttamente parla di me, di noi. È molto più facile – e questa è una delle grandi magie del teatro – essere sinceri e veritieri utilizzando parole scritte da altri. Quando si tratta, al contrario, di essere sinceri, senza il filtro di un testo preesistente, tutto si complica. Ti assale la paura di risultare retorico, di non essere all’altezza di chi ha scritto prima di te, di non riuscire a sintetizzare, ad afferrare il succo di quello che vuoi comunicare. Però alla fine siamo arrivati a dare una forma alle nostre lunghissime riflessioni e a tessere una trama che credo non sia retorica né scontata. E questo è molto importante. Credo che sarà uno degli spettacoli che mi porterò dietro più a lungo, per il suo senso e per il valore del percorso, più ancora che per il risultato scenico».

Ci parli degli attori che ha scelto per interpretare questa sua nuova regia.
A. O.: «Il progetto nasce da un’idea di Marco Pezza, giovane attore in forza al Teatro Oscar da qualche anno – dopo la frequentazione del Teatro Arsenale, dove si è diplomato con Marina Spreafico e Kuniaki Ida. Sua è stata l’idea di affrontare il romanzo di Vittorini, mia l’idea di esplicitare il confronto con la nostra generazione. Insieme abbiamo scelto la squadra di attori, selezionando le persone più motivate a costruire insieme un progetto partendo da zero. Ho scelto di coinvolgere due interpreti con le quali avevo già lavorato, Vanessa Korn (Notti Bianche da Dostoevskij) e Marta Lucini (La lezione di Ionesco), con cui mi sono sempre trovato molto bene a parlare, discutere, riflettere e costruire progetti. L’ultimo attore coinvolto è stato Carlo Decio, anche lui ex-teatro Arsenale, un ragazzo intelligente e dallo spirito irriverente e caustico, l’ideale per supportare il mio già cinico punto di vista e non “soccombere” al romanticismo delle ragazze! È un gruppo eterogeneo, quindi: siamo molto diversi per idee e carattere ma affini rispetto all’obiettivo del progetto e questo ha favorito la discussione. Marco è il rivoluzionario militante che voleva fortemente un omaggio alla Resistenza, Vanessa la battagliera antiretorica e ipercritica, Marta la sognatrice molto terrena – mi si passi l’ossimoro – e Carlo il giullare sarcastico e tagliente. E poi c’è Paolo Bignamini, il drammaturgo dall’anima esistenzialista e il cuore sartriano».

Cos’è scaturito dal confronto tra la generazione dei trentenni di ieri e quella di oggi?
A. O.: «È emerso che quelli di allora sono diventati eroi molto dopo avere compiuto i fatti che li hanno resi grandi e molto al di là dei loro obiettivi. Insomma, inutile cercare alibi, erano ragazzi come noi, con gli stessi sogni e le stesse illusioni, le medesime dinamiche di gruppo e di coppia, uguali aspirazioni e simili delusioni. Solo che hanno avuto una marcia in più per dare avvio alla loro rivoluzione. Noi non riusciamo a iniziare, ma la sensazione è che una volta che parti non ti fermi più…».

Non mi è sembrato di vedere alcuna sfumatura di tipo politico in questo spettacolo, ma mi corregga se sbaglio. C’è piuttosto una critica alle attuali giovani generazioni. Cosa pensa dei giovani? Di cui lei, tra l’altro, fa parte a tutti gli effetti.
A. O.: «Più che una critica, è un’analisi spietata che cerca di essere ugualmente lontana dall’autoesaltazione come dall’autocommiserazione. Siamo tanti, siamo – oggettivamente – una generazione colta e ricca di spunti culturali. Abbiamo studiato infinitamente di più dei nostri nonni, abbiamo una consapevolezza degli strumenti e delle possibilità dell’oggi neanche lontanamente paragonabile a quella che avevano i nostri omologhi del ’45. Forse è questo che ci blocca. Marta lo dice all’inizio dello spettacolo: “Tu hai già visto, tutti abbiamo già visto. È il marchio di fabbrica del nostro tempo”. È la nostra condanna, la nostra fortuna, o solo la nostra condizione oggettiva? Sapere troppo ci porta a farci mille domande e paranoie, a giudicarci a tal punto da portarci all’autocensura e alla rassegnazione. Non abbiamo quella follia necessaria a fare un salto nel buio, a provare a ribaltare tutto per rifondare la nostra esistenza su altri parametri».

Perché proprio questo titolo: In non celeste sonno
A. O.: «È un’espressione che descrive perfettamente la nostra condizione, pure essendo – lo ammetto – un po’ criptico: noi giovani viviamo immersi in un grande sonno, siamo addormentati, non riusciamo a darci una svegliata, ad agire. Ma questo sonno è “non celeste”, ovvero irrequieto, inquieto. Dormiamo e siamo insoddisfatti di dormire. Ma non riusciamo a svegliarci. La cosa bella è che l’espressione proviene da Uomini e no, è di Vittorini e, quindi, appartiene al 1945, a quei ragazzi là. Ma allora siamo uguali, erano anche loro addormentati e insoddisfatti come noi! Per loro, poi, è suonata quella sveglia che noi stiamo ancora puntando…».

Che cosa significa per lei Resistenza?
A. O.: «Significa crearsi un futuro. Ciò che maggiormente ci accomuna a quei ragazzi del ’45 è proprio l’assenza di un futuro, di un lungo respiro. A me sembra che stiamo iniziando a soffocare anche noi, come loro, anche se le nostre bombe esplodono silenziose e di nascosto. Ma resistere significa costruirsi una prospettiva di lungo periodo accumulando scelte scomode a scelte scomode».

Cosa salverà questa nostra generazione secondo lei?
A. O.: «La bellezza. Per dirlo con Dostoevskij. Pian piano il mondo sta diventando troppo brutto perché non ci si ribelli tutti insieme».

Se c’è ancora spazio disponibile nella nostra pagina on-line… ci racconta i suoi prossimi progetti?
A. O.: «A metà giugno debutterà al Teatro Out Off di Milano con La danza della morte di August Strindberg, un capolavoro assoluto dell’inferno coniugale, un testo ironico, cattivo e bellissimo. Con John Alexander Petricich, un attore molto particolare che vive in simbiosi con August Strindberg – di cui, ve lo posso assicurare, è la reincarnazione! Sarà bello lavorare con lui su questo materiale, insieme con altri tre interpreti che ritrovo con piacere: Marta Lucini, Andrea Fazzari e Chiara Zerlini. Inoltre, nella prossima stagione continuerà il sodalizio artistico con Mino Manni, con il quale saremo presenti a Milano con nuove produzioni e con la giovane compagnia di attori che si è formata a Ivrea intorno al Ventaglio di Goldoni. Il sogno è fare un grande classico classico che parli dei giovani di oggi».

Festival Resistente
Teatro Oscar
via Lattanzio, 58 – Milano

Programma completo:
martedì 24 aprile, ore 19.30
I colori del partigiano
Ballata per coro musici e attori
con Adele Pellegatta e Silvano Piccardi
suoni e l’ANPI Coro antifascista
La Moresca antica
drammaturgia e regia Silvano Piccardi
musiche Umberto Mosca
regia delle luci Stefano Chiovini

ore 21.00
Il più bello di tutti i fratelli
di Aquilino
regia Maria Eugenia D’Aquino
con Romina Gambaro, Rita Mattachini e Andrea Fabiano
musiche Andrea Fabiano
luci Maurizio Labella
costumi Alice Bonanno
scene e grafica Alessandra Bisio, Efrem Demarchi, Massimo Salsa
produzione Compagnia L’Altra Eva, con il patrocinio dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea – Piero Fornara – Vincitore del Primo Premio Culture Resistenti 2011

mercoledì 25 aprile, ore 19.30
Le rotaie della memoria
Vita di Albino Calletti
testo di Giulia Viana con la collaborazione di Giacomo Ferraù
regia Giacomo Ferraù
con Giulia Viana
luci Giuliano Almerighi
produzione Compagnia Eco di fondo
spettacolo vincitore del Premio ANPI Cultura 2008 (ANPI OVEST TICINO)

ore 21.00
Dalla resistenza alla costituzione – recital
di e con Andrea Labanca
musica e adattamento sonoro Guido Baldoni

Foyer Teatro Oscar:
Tre anni nella Storia d’Italia – Mostra illustrata a fumetti