Genio e mediocrità

elfo-pucciniNata dalla piuma di Puskin, reincarnatasi attraverso la penna di Peter Shaffer, accesa dalla regia di Milos Format, la leggenda che racconta il presunto omicidio di Mozart da parte del più vecchio e mediocre Antonio Salieri prende vita sul palco dell’Elfo e si fa teatro, Amadeus.

Come per ogni buona leggenda, non esiste una sola versione. Ogni volta, essa rinasce mantenendo lo scheletro e cambiando la carne dell’interpretazione. Così si narra dell’odio, probabilmente mai esistito, di un dedito musicista di corte nei confronti di un giovane di folle talento: odio che portò il primo a rovinare questo genio musicale, portarlo alla fame, farlo sparire e infine ucciderlo. O, piuttosto, di attribuirsi il ruolo di suo assassino pur di essere anche lui ricordato dai posteri, se non nel bene, almeno nel male.
Questo lo scheletro.
I particolari poi possono modificarsi e non si preoccupi chi ha già visto la pellicola di Format. Alberto Giusta propone teatro, non un surrogato del cinema (come troppo spesso succede in questi casi) e riesce a servirsi di linguaggi e possibilità che solo al teatro possono appartenere. Così, se il film riesce a rendere più nitida e palpabile l’atmosfera della Vienna dell’epoca, lo spettacolo di Giusta gode delle magie del palco e del pubblico presente. Il narratore si rivolge direttamente agli spettatori, immaginandoli come ombre che debbano ancora nascere, all’inizio, e alla fine assolvendoli – assolvendoci – dal terribile e grottesco peccato di mediocrità.
La compagnia Gank sceglie una scenografia fissa, anonima, che suggerisce una stanza qualsiasi: ma sono le luci, i costumi e la musica a scandire luoghi e momenti diversi, a rendere viva una sala di corte, lo studio di Mozart o la camera in cui il narratore – Salieri vecchio – ricorda e racconta la storia del proprio incontro-scontro con Mozart.
Incontro con l’uomo, scontro con la sua arte. O ancora, incontro con la sua arte ma scontro col talento.
Racconta la leggenda che Salieri fece un patto con Dio: gli promise una vita estremamente pia e chiese in cambio la fama di musicista. Ma forse usò le parole sbagliate perché la realtà fu che consegnò in mano a Dio la propria umana e carnale passione ed ebbe in cambio competenza musicale e fama. Eppure, privo di passione, non poté essere benedetto dal talento.
L’incontro col genio vero, quello sfrenato, ebbro, disagiato, isterico, sanguinante, infuocato, urlante di Mozart inizialmente lo spaventò e disgustò: odiò l’uomo e non si fidò della sua arte. Ma Dio la capacità di comprendere gliel’aveva data e così poté riconoscere la grandezza della musica del rivale. Divampò quell’amore che è invidia e l’odio venne rivolto a Dio, Dio che gli aveva dato il desiderio ardente di comporre, ma non il fuoco del talento, Dio che l’aveva reso capace di percepire il divino, ma reso muto.
Una mediocrità senza aspirazioni è sopportabile, forse proprio perché non ci si rende conto. Ma una mediocrità svelata dall’ardore del desiderio mostra senza maschere lo squallore della piccolezza umana, di cui Salieri si trova investito e che riconosce intorno a sé. Per zittire l’urlo di frustrazione che gli è scoppiato nelle orecchie, si prodiga per uccidere Mozart. Non come uomo, cui in fondo forse quasi si affeziona, ma come artista. I due piani però si intrecciano e, anche se mai avrebbe potuto sfiorare il corpo del giovane, riesce a portarlo alla fame, ad amplificarne la pazzia fino a causarne la morte. Ma è proprio dopo la morte dell’uomo-Amadeus che l’esuberanza dell’artista-Mozart divampa. La sua musica verrà ricordata per sempre, s’infilerà nelle orecchie e nella memoria di tutti, anche del popolo; mentre l’arido Antonio acquisterà fama e successo presso la corte di Vienna e assisterà poi alla propria “estinzione”, il musicista-Salieri non potrà impedirsi di distinguere la caducità e vuotezza delle proprie opere dall’infinito portato in grembo da Mozart.
L’interpretazione piena di tagliente autoironia di Solenghi – che ci lascia intravedere un sorriso a denti stretti di Salieri verso la propria viscida frustrazione e sconfitta – porta il pubblico ad affezionarsi a questo misero protagonista (la cui modalità d’azione ricorda un po’ quella del “dalemiano” del Terzo Segreto di Satira) e a solidarizzare con la sua mediocrità. Fascino e repulsione si nutrono invece nei confronti del convulso Amadeus, con le sue risate isteriche e i suoi occhi febbrili, genio e sregolatezza a volte perfino caricaturali nella recitazione di Aldo Ottobrino.
Due sostanze che si scontrano, una leggenda e un linguaggio che lasciano libero lo spettatore di trovare un proprio spazio e di porre in questione, in questo campo di battaglia, sé e i propri desideri.

Lo spettacolo va in scena al
Teatro Elfo Puccini

Corso Buenos Aires 33, 20124 Milano
dal 9 al 18 gennaio, dal martedì al sabato 20.30, domenica 16.30

Teatro Stabile di Genova e Compagnia Gank presentano
Amadeus
di Peter Shaffer
regia Alberto Giusta
con Tullio Solenghi, Aldo Ottobrino, Roberto Alinghieri, Arianna Comes, Davide Lorino, Elisabetta Mazzullo, Andrea Nicolini
luci Sandro Sussi