Un angelo sospeso tra cibo e follia

teatro-patologico-roma-80x80Mangiare è peccato? Se così fosse altro che angeli, dovremmo tutti finire all’inferno.

D’altronde la gola rientra tra i sette peccati capitali, ma perché il cibo dovrebbe essere un peccato se a mangiare non si fa male a nessuno?
Dal 20 al 23 febbraio per la produzione NoveTeatro è andato in scena al Teatro Patologico Angelo della Gravità (un’eresia) da un testo di Massimo Sgorbani per la regia di Domenico Ammendola con Leonardo Lidi, quest’ultimo già diretto a Teatro da Valter Malosti in Amleto.
Siamo negli Stati Uniti dove un detenuto nel braccio della morte è in attesa di essere impiccato. L’esecuzione è sospesa perché – sembra un’assurdità – il condannato avrebbe spezzato la corda dove è appeso perché è troppo grasso. Così, da un fatto di cronaca, Massimo Sgorbani ha preso spunto per parlare dell’obesità, oggi sempre più concepita come malattia delle “società del benessere”. Al contrario, in questa storia il protagonista è toccato poco o niente dal benessere (non solo in senso fisico, s’intende, ma anche mentale) se consideriamo che l’intera rappresentazione è costruita sul monologo di quest’uomo il quale, poco prima dell’impiccagione, ripercorre le tappe della propria vita il cui unico scopo è mangiare. Il cibo infatti è diventato la sua ossessione, ed è proprio per via del cibo che si trova a scontare la sua pena.
Attenzione però, perché qui la concezione del mangiare è molto più distorta di quanto si possa immaginare. Angelo della gravità infatti è soprattutto eresia. Pietanza, religione e sesso si confondono. È un mix che entra nello stomaco e che esce fuori da esso come il vomito, senza più distinguere il sacro dal profano. Grasso, ciccia, cibo a dismisura (nell’aria si è storditi da un lezzo acre di sudore e di patatine fritte), pornografia e religione si muovono in un iperspazio la cui gravità è quasi assente. Lo spazio di cui dispone una simile performance non è tanto un luogo quanto un’estensione del corpo del protagonista, delle sue nevrosi e morbosità. Il corpo è una chimera che lo salvaguarda dalle sue fragilità, lo scudo che lo protegge dalle perversioni della società contemporanea in cui, pur tuttavia, non riesce a vincere le sue inadeguatezze e lo trasforma in vittima. Nel suo monologo, il condannato approda alla sua visione del mondo nella quale la pornografia coincide con l’amore (egli parla del cibo come atto d’amore arrivando a confondere il proprio liquido seminale come qualcosa di commestibile e ingeribile) e l’indigestione con l’eucarestia. Così, forte di questa fede, egli si congiunge ad una visione celeste degli “angeli della gravità” che, grazie alle loro ali, vincono il peso della materia e si elevano verso Dio. Lui afferma infatti di non trovarsi né in cielo né in terra, è come sospeso, retto da una forza gravitazionale evocata dai palloncini bianchi alle sue spalle che fanno da contorno alla scenografia e che, al contempo, creano l’”effetto paradosso” della leggerezza degli angeli contrapposta alla grevità del corpo.
Angelo della gravità ha un testo che può funzionare, anche se il messaggio del consumismo come una delle religioni più diffuse nella civiltà moderna è debole e corre il rischio di perdersi nei meandri deliranti e onirici di Leonardo Lidi (credibile e realistico nella sua interpretazione). Nondimeno, la nota storta di tutta la storia è quella di aver relegato nell’ultimo minuto dello spettacolo quello che era lo spunto di partenza, ovvero la condanna a morte del reo.
Da vedere solo se si è dotati di uno stomaco veramente forte.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno del Festival di Teatro Patologico:
Teatro Patologico
via Cassia, 472 – Roma
fino a domenica 23 febbraio
orari: da giovedì a sabato ore 21.00, domenica ore 18.00

NoveTeatro presenta
Angelo della gravità (un’eresia)
di Massimo Sgorbani
regia Domenico Ammendola
con Leonardo Lidi
luci e fonica Lorenzo Savi
scene e costumi Domenico Ammendola