Il padrone dei vizi

Dopo la prima nazionale della scorsa stagione, torna ancora al Bellini Arancia Meccanica, riduzione teatrale dell’omonimo romanzo di Anthony Burgess, portato ai fasti dall’indimenticabile film di Kubrick.

Ci sono spettacoli che ti catturano dal primo momento e non ti lasciano più. Opere che stimolano i sensi talmente bene da farti gridare all’amore (quasi) a prima vista. Non capita tutti i giorni, ma quando succede, quello cui hai assistito non lo dimentichi facilmente. Ed è proprio questo il caso di Arancia Meccanica, adattamento del romanzo di Burgess, forse più noto per la trasposizione cinematografica che Kubrick ci ha regalato negli anni Settanta. Una duplice, imponente, pietra di paragone. Inutile raccontarsi storie, se si ha familiarità col testo o con la pellicola, il confronto scatta quasi in automatico ed è difficile guardare all’opera teatrale semplicemente per quello che è. Va da sé che il rischio di deludere e disattendere le attese è alto.

Il primissimo impatto con lo spettacolo diretto da Gabriele Russo infatti non è esaltante. Si viene spinti a forza nella rappresentazione, sul palcoscenico c’è una grande confusione, si ha come l’impressione di mancare di conoscenze pregresse o di essere giunti in sala con evidente ritardo. Il ritmo è concitato, gli attori parlano spediti e pare di essere già nel mezzo degli eventi. L’impatto visivo è però ineccepibile, curatissimo. Le musiche, eccezionali. Sembra un buon compromesso. Si accetta rassegnati l’idea di sottostare al caos al fine di continuare a godere di quella gradevolissima stimolazione sensoriale su più fronti. Ed è qui che giunge la sorpresa. Poco dopo l’esagitato inizio si inizia a scorgere il bandolo della matassa e via via tutto diviene più chiaro. La narrazione prende forma e dissipa ogni dubbio, ogni incertezza. Da questo momento in poi ogni elemento diventa parte di un ingranaggio perfetto. Grande è stata la cura di ogni singolo particolare e ciò risulta piacevolmente evidente. Scenografie, luci, musiche, suoni, interpretazioni, costumi, ogni cosa si inserisce in questo sorprendente meccanismo che è lo spettacolo.
Nella messinscena tutto viene raccontato come se lo si vedesse con gli occhi dell’assoluto protagonista, che è Alex. Ragazzo annoiato e innamorato follemente di Ludovico Van (Beethoven), questi si diletta nell’esercizio pressoché quotidiano della violenza, perpetrata su vittime che giacciono impotenti dinnanzi alle angherie sue e dei suoi amici “drughi”. Gratuitamente violenti, volgari e privi di coscienza, questi giovani nullafacenti passano il loro tempo torturando il prossimo, alterando i loro sensi con latte corretto e litigando per prendere le redini della gang. Ma nulla è per sempre e accade così che il Sistema decida di scegliere per Alex, inculcandogli il senso del bene e instillandogli la riprovazione per tutto ciò che è male.

Copia rovesciata di se stesso, l’ex cattivo ragazzo diviene egli stesso vittima degli abusi di chi potendo ancora scegliere, predilige la violenza. E quest’ultima viene rappresentata sul palco tramite efficaci giochi di luce e ralenti che, uniti alle scelte musicali indovinate, restituiscono un quadro quasi poetico alla scene stesse. Su tutto, straordinariamente bello è il momento dello stupro a casa dello scrittore, rappresentato e interpretato magistralmente. Impeccabili gli attori, i drughi in particolare, in grado di infilare un neologismo dietro l’altro per donare allo spettatore un gustoso assaggio di quello che è il loro personalissimo gergo, il nadsat. Una parlantina spigliata e senza sosta la loro, che non ammette distrazioni da parte del pubblico. Ecco, in effetti qui e là potrebbe risultare un po’ complicato comprendere tutto ciò che loro si dicono (prima dello spettacolo viene distribuito anche un mini glossario della loro lingua, ma per quanto piccolo che sia è comunque troppo da memorizzare) e si ha perciò la spiacevole sensazione di perdere qualcosa. Però si sta davvero guardando il pelo nell’uovo.

Lo spettacolo è realizzato benissimo e perderselo sarebbe criminoso.

Lo spettacolo continua
Teatro Bellini

Via Conte di Ruvo 14, Napoli
dal 18 al 30 Novembre
da martedì a sabato ore 21.00 (sabato 29 anche ore 17.30) – domenica ore 17.30

Arancia Meccanica
di Anthony Burgess
regia Gabriele Russo
con Alfredo Angelici, Martina Galletta, Sebastiano Gavasso, Giulio Federico Janni, Alessio Piazza, Daniele Russo, Paola Sambo
musiche Morgan
costumi Chiara Aversano
scene Roberto Crea
disegno luci Salvatore Palladino