Wodan ti guardi

PLAY, la stagione 2016 del Teatro Comunale di Bologna, apre le danze (e l’opera) con un classico, seppur minore, della lirica italiana – Attila di Giuseppe Verdi – rivisitato in chiave steampunk.

Grigio e arrugginito, come il ventre di una nave da guerra, è il regno di Attila. La notte, gravissima, del preludio è carica di bruma e rumore di morte. Le terga di feticci senza testa né arti spuntano come funghi dal gelido ferro, vittime prostrate ai piedi del barbaro. Funeste corde pendono dall’altissimo soffitto come ganci di un mattatoio satollo di carne.

«Urli, rapine, gemiti, sangue, stupri, rovine» è la lieta melodia che preannuncia l’ingresso dell’Unno. Ildebrando D’Arcangelo entra a passo di marcia, accompagnato dall’erompere fortissimo di tutta l’orchestra, diretta dal polso flessuoso ed esperto di Michele Mariotti. E subito è sconcerto: per il piacere dei più giovani (che non hanno risposto alla chiamata lirica, lasciando le poltrone alla Middle Age bolognese), il costumista Gianni Carluccio ha dato fondo alla sua scorta di anacronismi storico-artistico, vestendo di moderne uniformi militari i selvaggi e barbari conquistatori di una Aquileia dalle sembianze post-atomiche, anno 452 d.C., con buona pace della perplessa signora della fila X, posto 22, dallo sguardo smarrito dentro il libretto informativo.

Ma ecco che subentra Odabella, figlia del signore di Aquileia, a placare i vetusti animi. Il suo perentorio andante iniziale tradisce da subito l’obiettivo verdiano di mettere in scena un dramma lirico incentrato sul forte orgoglio italico di un’eroina-amante indomita. Il basso si piega meravigliato al cospetto della soprano Maria José Siri, che in quattro e quattr’otto gli sfila la spada e lo nomina suo personalissimo Oloferne.

Un calo di voce improvviso impedisce a D’arcangelo di continuare la rappresentazione, cedendo il posto allo stratosferico Riccardo Zanellato, che fornisce subito prova delle sue doti nel duetto di bassi con Ezio (Simone Piazzola), con la Luger P08 al sicuro nella fondina e i fedeli soldati romani della Wehrmacht al fianco. E proprio come nel 1846, citando Verdi, «non vi fu pezzo senza applausi e quindi chiamate senza numero».

Il successivo groviglio di entrate e uscite gestito senza fatica dalla regia di Daniele Abbado rende giustizia al genio narrativo di Verdi, che già ai suoi tempi aveva scoperto la segreta arte del «montaggio sincronico di situazioni diverse», tanto cara alle serie TV di oggi. Gli applausi a scena aperta non accennano a scemare con l’avanzare degli atti, innalzandosi in Bravo! compiaciuti per il cavaliere aquileiese Foresto, spinto alle più alte vette vocali dal tenore Fabio Sartori.

L’entusiasmo è palpabile anche in fila X, dove il posto 22 sembra finalmente aver capito a quale opera sta assistendo. Il dramma (quello verdiano) avanza senza ulteriori intoppi tecnici e raggiunge l’acme con la tremenda scena finale. Nella lettura del regista: «Attila è il sogno di un uomo. La fine del sogno è il suo definitivo risveglio. Troppo tardi per rendersi conto di quanto sia cruda la realtà. La fine avviene in modo spietato. Lo ammazzano in un’imboscata».

Abbado, Carluccio e Mariotti hanno fatto il loro dovere: il palco della stagione 2016 è stato svecchiato, ora è il turno della platea.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Comunale di Bologna

Largo Respighi 1 – Bologna
dal 23 al 31 gennaio 2016

Attila
di Giuseppe Verdi
interpreti Ildebrando D’Arcangelo, Riccardo Zanellato, Simone Piazzola, Gezim Myshketa, Maria José Siri, Stefanna Kybalova, Fabio Sartori, Giuseppe Gipali, Gianluca Floris, Antonio di Matteo
direttore Michele Mariotti
regia Daniele Abbado
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Gianni Carluccio e Daniela Cernigliaro
movimenti scenici Simona Bucci
regista collaboratore Boris Stetka
assistente alle scene Sebastiana Di Gesù
maestro del coro Andrea Faidutti
orchestra, coro e tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna con il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro La Fenice di Venezia