Il ritmo come origine primitiva della musica

I Carmina Burana di Carl Orff, a distanza di anni, mantengono intatto il loro straordinario fascino, tra evocazioni medioevali e sensibilità pagana.

«Più l’espressione è essenziale, più è semplificata, più il suo effetto sarà diretto e potente», parola di Carl Orff, compositore e teorico della musica di grandissima importanza per il Novecento. Orff, infatti, oltre a essere un noto artista, in grado di inventare un linguaggio originale destinato a segnare profondamente la cultura musicale della modernità, è stato anche un fine pedagogista, sviluppando un metodo di apprendimento educativo affidato al valore della musica e dell’ascolto.
Il nome di Orff è consacrato alla storia per la sua opera di più importante, ovvero i Carmina Burana, composizione che appartiene in pieno all’immaginario collettivo di tutti, a prescindere dalla generazione o dalla provenienza geografica. Infatti, è arduo, se non impossibile, trovare qualcuno che non abbia mai ascoltato (seppur per via indiretta, attraverso le pubblicità o le colonne sonore dei film) l’O Fortuna, senza ombra di dubbio uno dei brani più conosciuti e celebri della storia. Il valore rivoluzionario della tecnica e dello stile orffiano risiede nel radicale “primitivismo”, ovvero nella volontà di risalire all’origine ritmica della musica stessa, per coglierne l’essenza primigenia, che poi significa ricondurre la musica alle sue radici rituali e pagane. Per questo, nelle opere di Orff la funzione principale è ricoperta dalle percussioni, numerose e potenti, che esprimono al meglio tutto il vigore che la sua musica intende comunicare, e attraverso la quale essa intende diffondersi tra il pubblico per travolgerlo. Presso il Radiant-Bellevue di Caluire-et-Cuire, a Lione, è andata in scena una splendida esecuzione dei Carmina Burana da parte dell’Ensemble 7e Sens, collettivo professionale dedito all’esecuzione del repertorio classico con coro, solisti e orchestra. Il direttore d’orchestra e capo del coro Jean-Philippe Dubor riesce a restituire tutta la folgorante energia dell’opera, non solo nell’impetuoso e trascinante O Fortuna, ma anche e soprattutto in tutta la diversificata costruzione dell’opera, che spazia dal tono sacro del Primo Vere, allo spirito giocoso e buffonesco delle composizione dell’In Taberna, fino al romanticismo e al lirismo dei Cour d’Amour.
Orff, infatti, attinse direttamente da un testo emerso solo nell’Ottocento e risalente al Medioevo, che raccoglieva i versi e le poesie dei goliardi, viandanti senza meta che cantavano le loro follie d’amore, le loro disgrazie, ma anche il loro spirito pauperistico e la loro fede; per questo, si passa con tanta disinvoltura dalla dimensione bacchica a quella amorosa, a quella religiosa. D’altronde, tutta la composizione si chiude circolarmente nell’ode alla Fortuna, considerata (in maniera blasfema) come l’unica autentica divinità in grado di regolare l’andamento del mondo. Perciò l’anima della musica dell’opera di Orff è in tutto e per tutto un’anima pagana, che emerge dalle viscere della terra; non è un caso che la prima esecuzione dell’opera ebbe una risposta trionfale da parte del pubblico dell’Opera di Francoforte nel 1937, perché sicuramente molti rintracciarono in quella musica così tagliente, e allo stesso tempo così maestosa e potente, una manifestazione dello spirito germanico e della volontà della nazione tedesca. D’altronde, molto si è detto sull’ambiguo rapporto intrattenuto dallo stesso Orff con le gerarchie naziste; ma la cosa interessante è far notare come, dopo la guerra, Orff abbia deciso di riarrangiare la sua opera per offrirne una versione più asciutta e essenziale, in piena coerenza con le sue teorie minimaliste. Infatti, se la partitura originale prevede una grande orchestra con fiati, la versione andata in scena ieri al Radiant-Bellevue è la versione ridotta a coro, percussioni e due pianoforti, suonati in maniera magistrale da Fabrice Boulanger e Nobuyoshi Shima. In questa maniera, il collettivo dell’Ensemble è riuscito a restituire al pubblico tutta la potenza dell’opera, nella sua straordinaria poliedricità e contemporaneamente nella sua essenzialità primitiva.

«Plus l’expression est essentielle, plus elle est simplifiée, plus son effect est direct et puissant»; Carl Orff a inventé un langage extraordinairement réducteur, primitive, employant la répétition incantatoire d’une déclamation mélodique souvent associée à des scansions rythmiques, avec explosions de frénésie. Dirigé par Jean-Philippe Dubor, l’Ensemble 7e Sens, au Radiant-Bellevue de Caluire-et-Cuire, ont offert au public les Carmina Burana.

Lo spettacolo è andato in scena:
Radiant Bellevue
1, rue Jean Moulin – Caluire (Francia)
domenica 10 febbraio, ore 16.00

Ensemble 7e Sens
Carmina Burana
di Carlo Orff
direttore Jean-Philippe Dubor