Pensavano fosse amore invece era un malessere

Cogliere solo gli aspetti esteriori dell’affetto può non dare affatto piacere

Le coincidenze di una Londra fumosa ed evanescente sono le vere protagoniste di Closer. I personaggi non sono che pesci impigliati nelle reti gettate dal caso che si dimenano agitando le acque, ma in fondo il loro movimento è vano e non serve per liberarli.
Dan conosce Alice e a quel frangente assiste di sfuggita Larry, poi arriva Anna a incontrare Dan, ma a cosa servono i nomi? In fondo sono un modo per nominare i fili dell’intreccio e renderli riconoscibili, le persone non contano, un nome vale l’altro. Ciò che conta è il legante che il caso ha scelto per congiungerle, il fil rouge che a volte unisce, a volte stringe, a volte stritola e in questo caso è l’amore, o meglio, i modi in cui si manifesta. Il sentimento in sé aleggia sulle storie che accomunano i quattro personaggi uniti in coppie che fulminee diventano chiasmi, e poi con un rapido rivolgimento sono di nuovo coppie e così via, a fasi alterne imprevedibili e repentine, ma quello che davvero domina le loro vite sono le manifestazioni tangibili dell’amore: la tenerezza, la dipendenza, il sesso, la pena per l’altro, il desiderio, l’attrazione e quanto altro di fisico possa scaturire.
Dietro queste epifanie, ciascuno dei protagonisti scorge l’amore che si rivela inafferrabile: per quanto strepito si possa fare, per quanto grande sia l’agitazione, per quanto profondo sia il dolore, non si riesce ad acciuffare l’amore che sembra muoversi in un’altra dimensione.
In questo movimento vorticoso di eventi, coincidenze e sentimenti, il punto focale sembra costituito da Larry: lui è l’unico personaggio che non riversa l’“amore” verso l’esterno, ma verso l’interno, ciò verso se stesso. Larry è animato da un amor proprio che non rifugge dal sadismo e dall’infedeltà più bieca pur di autocelebrarsi. A ben vedere, è lui l’occhio del ciclone dal quale tutto ha origine e verso il quale tutto propende. Lui è il centro propulsore di un dolore che non lo coinvolge, un egoista intorno al quale tutto ruota e che piega le vite di altri in funzione delle sue soddisfazioni professionali o carnali che siano.
Il testo di Marber è intricato ma ben costruito e gli attori sono all’altezza di gestire con credibilità gli stati d’animo che si susseguono agli eventi. La giovane età del cast dà alla recitazione un impeto che rende tutto più spontaneo, ma si riflette meno positivamente in uno scarso vigore che limita l’irruenza alla superficie senza trarre origine dalle corde più profonde.
La scenografia in apparenza sciatta rende in modo asciutto e compiuto lo squallore degli eventi e il sapiente gioco di luci riesce a creare ambienti ulteriori creando l’illusione di uno spazio più ampio.
Nel complesso un’ottima prova per la regia di Michele Di Francesco, per gli attori e per i tecnici, una squadra promettente e destinata a conquistarsi belle vittorie sul campo e questa prima partita può certo dirsi vinta.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Lo Spazio
via Locri 42/44- Roma
giovedì 18 ottobre 2012 ore 21.00
(durata 1 ora e trenta circa)

Compagnia degli Indie presenta
Closer
di Patrick Marber
adattamento e regia Michele Di Francesco
con Davide Vallicelli, Carolina Izzo, Matteo Milani, Alessandra Silipo