Volontà di meraviglia

Terza tappa toscana della tournée di De Revolutionibus. Dopo la vittoria a Teatri del Sacro di Lucca e la partecipazione a Teatri di Confine di Pisa, la compagnia calabro-siciliana Carullo-Minasi va in scena al Teatro Studio Krypton per lo Zoom Festival di Scandicci con due Operette morali di Giacomo Leopardi.

Inscenato all’interno della storica rassegna ideata, organizzata e diretta da Giancarlo Cauteruccio, ormai all’ultima stazione prima del passaggio di consegne alla Fondazione Toscana Spettacolo, De Revolutionibus dei pluripremiati Carullo e Minasi è un allestimento complessivamente convincente e, in particolare, sconcertante per la coerenza e la profondità dei piani prospettici da cui lascia ammirare quella che è a tutti gli effetti una fedele riduzione drammaturgica della sconfinata complessità leopardiana.

Il primato di una ragione incapace di non sentire, la disperazione dell’affidamento all’oggi e non al continuamente domani, l’inalienabile responsabilità nei confronti delle proprie scelte sono elementi che solo uno sguardo ingenuo potrebbe assumere secondo i connotati di quel pessimismo cui il genio di Recanati venne costretto dalla manualistica.

Quella cui si assisterà in scena non sarà affatto l’interpretazione unilaterale, purtroppo ancora dominante, che snatura la vastità della produzione leopardiana in una negatività tout court, oggi ampiamente superata dalle più recenti riletture che vedono nel sommo un inattuale, un realista dedito a una personalissima ricerca, «matta e disperatissima», di Speranza e Felicità, nel pieno disincanto di ogni idealizzazione di Passato, Presente e Futuro.

Le tematiche del destino dell’essere umano, del suo drammatico rapporto con Natura e Cultura prendono, infatti, forma in una visione filosofica tragica perché dominata dall’idea di una essenziale «miseria» da intendere, tuttavia, non nel senso della vulgata più scolastica, raccolta e tramandata – com’è noto – da Arthur Schopenauer come ontologica negazione della Vita.

Sintesi delle operette morali Il Copernico e Galantuomo e Mondo, a De Revolutionibus riconosciamo, allora, un primo grande merito, quello di recuperarne finezza e ampiezza di pensiero, incastonando il proprio incedere in una sorprendentemente lucida restituzione metateatrale. Intuizioni tanto semplici quanto geniali caratterizzano un processo creativo che Carullo e Minasi dimostrano di padroneggiare con mestiere e talento, dall’artigianalità di scenografie che vanno a comporre le atmosfere felliniane di un palco/teatrino della Vita che interroga se stessa, alla pirandelliana dialettica tra persona e personaggio di due giullari brechtiani che si alternano a sorte nella conduzione dei dialoghi, rinforzando così la presenza di un fato condizionante e da sfidare coraggiosamente prima dell’ineludibile naufragio finale.

Un ulteriore elemento, sottile nella sua evidenza, contribuisce a dare spessore a questo lavoro (l’esibizione su drappi dei sottotitoli che accompagnano gli atti), innestando una significativa idiosincrasia semantica tra parole d’ordine (felicità/moralità) sulle quali il senso comune si è edificato e ha preteso di ergersi a giudice impersonale del bene e del male, mortificando in sensi di colpa eterodiretti- di cui lo stesso Leopardi cadde vittima – la possibilità di ogni realizzazione autentica e personale. E se nella prima «operetta infelice e per questo morale» – dove il ritmo attoriale sembra ancora patire dinamiche più riflessive e compassate – viene smontata la centralità dell’uomo nell’universo, è nella seconda «operetta immorale e per questo felice» che esplode l’incredibile attualità di un testo che sbeffeggia la virtù a favore di vizi quali prepotenza, ignoranza, omologazione e denaro (Mondo: «A che ti ha giovato o giova agli uomini la virtù?». Galantuomo: «A non cavare un ragno da un buco»), considerando pirandellianamente quest’ultimi quali unici mezzi se non per fama e potere, almeno per il riconoscimento sociale, offrendo così una folgorante anticipazione dell’appello alla trasvalutazione dei valori annunciata in Così parlò Zarathustra.

Un risultato di raffinato umanismo, in grado di ribadire la dignità dell’individuo concreto, raggiunto attraverso un italiano ricco di suggestioni letterarie, che – per contrarietà e con grande naturalezza – lascia intravedere tra le proprie pieghe proprio la folle soluzione nietzschiana alla questione dell’inadeguatezza umana alla Vita che, vissuta da Leopardi con lacerante dolore, nel filosofo tedesco andrà a costituire il presupposto di un sì alla vita da affermare sempre e con perentoria gaia accettazione.

Quello cui, allora, De Revolutionibus tende non è la «rivoluzione che procede al contrario e diventa involuzione» nel senso letterale del termine, quanto la schietta invocazione della morte di Dio, la poetica affermazione di condanna dell’uomo a essere libero, la struggente chiamata alle responsabilità individuali che Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi trasfigurano drammaturgicamente con brillante e cristallina efficacia.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Studio Krypton

via Gaetano Donizetti, 58, Scandicci FI

De revolutionibus
sulla miseria del genere umano
da Il Copernico e Galantuomo e Mondo di Giacomo Leopardi
diretto e interpretato da Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi
disegno luci Roberto Bonaventura
scene e costumi Cinzia Muscolino
scenotecnica Piero Botto
assistenza alla regia Veronica Zito
produzione Carullo-Minasi, I Teatri del Sacro