Storia vera di una leggenda

Uomo e mito si conciliano senza contrasti grazie a un testo fluido e a una rappresentazione armonica, frutto di un affiatato gioco di squadra tra gli attori. Una sintonia perfetta e il risultato non può che essere impeccabile.

Cristo, Chisciotte o Panza, forse tutti e tre, la moneta è caduta di taglio. Chi era “El”, Lui, quel Che Guevara che sfugge alle definizioni: uomo, eroe o folle? Forse tutti e tre, la moneta è caduta di taglio.
Appunti sparsi riempiono i fogli di un prete grafomane. Sembrano senza senso, ma pian piano il groviglio dei pensieri si dipana e un filo teso lega la storia di Gesù, la letteratura di Cervantes e le gesta del Che. Il nesso logico aggancia le figure con grande coerenza e alla fine, quei pensieri che sembravano deliri slegati, si prospettano come la risposta più adeguata alla domanda: Chi era Lui? Cristo, Chisciotte o Panza, forse tutti e tre, la moneta è caduta di taglio.
Edgardo de Habich porta sulla scena la figura storica di Ernesto Guevara, tentando di demitizzarla e proporla come il semplice risultato di una successione di scelte dettate dalla volontà di assolvere a un destino predeterminato: «Ognuno deve sapere per quale motivo è venuto al mondo» – dice Guevara, ed è doveroso, oltre che ineluttabile, vivere in ossequio al proprio destino. Due prospettive si incrociano sul palco: la prima rivolta al passato, sprazzi di flashback sui momenti decisivi della vita del Che, l’altra è una finestra sul presente, anzi sul dopo Che, che mostra quali erano gli animi e le opinioni successive all’uccisione di un personaggio storico così carismatico. Quest’ultimo sguardo mostra due figure contrapposte a sostenere posizioni antitetiche: il colonnello che aveva preso parte all’assassinio del Che e un prete boliviano che, spinto dal dovere di indagine storica e dall’ammirazione per il personaggio, è impegnato nella stesura di un libro su Guevara. L’artificio teatrale che permette di vedere in sincrono i due momenti è complesso, ma molto ben architettato e ancor meglio eseguito. In particolar modo il prete, interpretato dalla bravissima Maria Concetta Liotta, non esce mai dalla parte e rende visibile l’invisibile: il flusso di pensiero che ripercorre gli eventi recitati sulla scena, affiora nella mimica appena accennata del volto. Il continuo alternarsi crea dei lunghi momenti in cui gli attori dell’una prospettiva agiscono, mentre quelli dell’altra sono fermi, ma tutti sono sulla scena, senza mai estraniarsi in attesa di tornare a essere protagonisti. La bravura tecnica degli attori permette di non avere mai la sensazione della stasi o della separazione degli ambienti. Tutto è intersecato, compenetrato, soprattutto i momenti successivi alla vita del Che sono impregnati dell’influenza di Lui.
Uno spettacolo molto apprezzabile, lontano da celebrazioni mitomani e obiettivo nel mettere in luce un personaggio controverso e non alieno da imperfezioni tutte umane, che procedono dall’incapacità di svolgere il ruolo da ministro alla disattenzione nei confronti dei figli.
Il Che Guevara rivisitato dal testo di de Habich e dalla regia di Luca Milesi può far proprio il verso di Terenzio Homo sum: humani nihil a me alienum puto (sono un uomo e non reputo niente di umano a me estraneo) e allo stesso tempo mostrare tutto lo splendore e la potenza di quella scintilla divina che nell’uomo risiede e che si fa garante di immortalità, continuando a illuminare e riscaldare, dopo la morte, generazioni innumerevoli di altri uomini.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Agorà
via della Penitenza, 33 – Roma
fino a domenica 18 novembre, ore 21.00
(durata 1 ora e trenta circa)

“El” – Che Guevara. L’uomo dietro la leggenda
di Edgardo de Habich
traduzione Naila Marganella
regia Luca Milesi
con Antonio Nobili, Maria Concetta Liotta, Elisa Giovannetti, Alberto Albertino, Umberto Bianchi, Raffaella Zappalà, Lorenzo Guerrieri, Simone Carosio