Ritratti d’Autore

Elio De Capitani in una foto di Tommaso La Pera

Elio De Capitani in questi giorni è protagonista sulle scene dell’Elfo Puccini nelle vesti di regista, traduttore, scenografo e costumista – a quattro mani con Ferdinando Bruni – di Il racconto d’inverno e, nei panni di regista e interprete, di The History Boys di Alan Bennett. Ruoli molteplici per un camaleonte teatrale, brillante direttore artistico e amministratore che crede nella “funzione pubblica” anche dell’impresa profit e non esita a rivendicare battaglie di civiltà, in tempi di crisi che si vorrebbero risolvere rendendo più facili i licenziamenti: «Attualmente la sfida è ripristinare il sussidio di disoccupazione per gli artisti di teatro…», una lotta che «vede unitissimo il mondo teatrale e totalmente indifferente quello dell’informazione». Uomo di cultura che si pone di fronte a sfide difficili come «fare spettacolo nella società dello spettacolo» ma che ha la leggerezza di inventare giochi di parole funambolici per restituire il contesto che, oltre quattro secoli fa, permetteva a Bottom di entusiasmare il pubblico dei Lord Chamberlain’s Men, come oggi quello dell’Elfo Puccini.

Siete alla seconda Stagione dell’Elfo Puccini. Un primo bilancio?
Elio De Capitani: «In una parola: fantastico. All’inizio ci sembrava un sogno che si stesse realizzando ma adesso sappiamo che, oltre a essere la fabbrica dell’Elfo – dove produciamo e presentiamo i nostri lavori – questo teatro è sempre più uno spazio pubblico e multidisciplinare: residenza di Sentieri Selvaggi, un ensemble di musica contemporanea; con un bar gestito da Olinda – l’associazione che può continuare qui il proprio percorso alternativo all’ospedale psichiatrico; e sede del Festival MilanOltre, che recentemente ha sperimentato una formula completamente diversa, sotto la direzione artistica di Rino De Pace – che, tra l’altro, ha ricevuto i complimenti personali di Karole Armitage (danzatrice e coreografa statunitense, quest’anno ospite di MilanOltre insieme a Matteo Levaggi, n.d.g.). In poche parole, un’esperienza che sta andando oltre le nostre aspettative, richiedendoci però uno sforzo gestionale immane».

A Milano si dice che il vento è cambiato ma la crisi economica è devastante. Come avete deciso di affrontare la sfida?
E. D. C.: «Trasformandoci. Mi spiego meglio: eravamo e siamo una cooperativa – direi tra le poche con un’idea forte di mutualità tra i soci. Ma dal 5 di ottobre, oltre a essere una cooperativa e un teatro stabile riconosciuto, abbiamo trasformato il nostro statuto diventando un’impresa sociale. Questa scelta nasce dalla volontà di costruire un modo alternativo di gestire il bene comune. Crediamo infatti che qualunque iniziativa, anche privata, coinvolga una funzione pubblica e preferiamo il regime di impresa a quello di Fondazione perché altrimenti non sarebbe possibile quella gestione dinamica, necessaria in un teatro come l’Elfo Puccini che deve reperire due terzi delle proprie risorse sul mercato. Dobbiamo perciò avere il carattere d’impresa ma, al contempo, renderci responsabili non soltanto nei confronti dei soci, e nemmeno dei soli lavoratori, bensì verso tutti i fruitori del teatro: utenti, pubblico e fornitori. Del resto, a nostro avviso, la responsabilità sociale dell’impresa dovrebbe essere propria di qualsiasi azienda, compresa la Fiat».

Con gli altri teatri riuscite a creare momenti comuni di lotta per affrontare le difficoltà, anche economiche, che sta vivendo il mondo della cultura?
E. D. C.: «Per due anni e mezzo abbiamo lottato per ripristinare il Fondo Unico per lo Spettacolo e, in quell’occasione, tutto il teatro italiano si è dimostrato molto compatto. Attualmente la sfida è ripristinare il sussidio di disoccupazione per gli artisti di teatro. Il documento che abbiamo stilato è stato sottoscritto da tutti: partendo dall’Agis e dai sindacati, per arrivare alle associazioni e alle Compagnie. Questa battaglia vede unitissimo il mondo teatrale e totalmente indifferente quello dell’informazione».

Come spiega la cattiva informazione, non solamente in ambito teatrale, che si lamenta negli ultimi anni?
E. D. C.: «Il problema è fare spettacolo nella società dello spettacolo. In altre parole: la stessa politica è ormai una forma di spettacolo. Si cerca visibilità con annunci appositamente provocatori, predisposti solo per essere pubblicati. Perché, mi domando: quando c’è una manifestazione pacifica per la Tav, ad esempio, le si dedicano box di poche righe, mentre se si verificano incidenti o scontri con la polizia si scrivono pagine intere, e anche di più se ci scappa il morto? Perché anche questa è una forma di spettacolo. In altre parole, una manifestazione pacifica non fa notizia. A quel punto, incendiare un pulmino non è più un gesto di violenza bensì una forma di spettacolarizzazione, che attira l’attenzione dei mass media».

Tornando alla Vostra Compagnia, con il trasferimento in corso Buenos Aires è cambiata la tipologia di pubblico?
E. D. C.: «Sicuramente il pubblico si è allargato perché, grazie alla posizione dell’Elfo Puccini, abbiamo una visibilità maggiore e siamo molto più comodi da raggiungere. Però è anche vero che, a seconda degli spettacoli, catalizziamo l’attenzione di “tribù” metropolitane diverse: dal pubblico più adulto ai giovani, che forse avevamo un po’ perso nell’ultimo periodo e che hanno ricominciato a seguirci con Shopping and Fucking piuttosto che The History Boys».

Il gemellaggio con la Puglia è un’innovazione di quest’anno. Com’è nata l’idea?
E. D. C.: «Nasce dall’incontro tra il nostro desiderio di creare uno spazio di innovazione, la Stagione di Nuove Storie – 16 titoli con una propria forma di abbonamento – e la volontà dell’amministrazione pugliese di costruire un progetto integrato di residenze per i giovani gruppi presenti sul territorio. Per questo, i primi quattro titoli di Nuove Storie sono appannaggio di altrettante Compagnie pugliesi».

Come siete riusciti a rielaborare tanto efficacemente il linguaggio degli artigiani in Sogno di una notte di mezza estate?
E. D. C.: «Primo, perché noi scherziamo molto nel nostro lavoro quotidiano. L’altro giorno ne ho fatta una alla Bottom: siccome volevo mettermi a dieta ma, a pranzo, avevo mangiato tanto, ho detto: “Ho un soffritto interiore…” (ride). La nostra Compagnia ha una visione teatrale intessuta di giochi di parole, direi che “la comicità ci abita”. Del resto, non saremmo insieme da quarant’anni se non ci fosse un motivo, e il motivo è che ci divertiamo a stare insieme. Inoltre, va tenuta presente la nostra particolare competenza sul teatro elisabettiano, in generale, e shakespeariano, in particolare. Da sempre il nostro rapporto con l’opera non è testuale, bensì contestuale. Mi spiego meglio: grazie anche a elementi di una critica teatrale non più idealistica ma storicistica, abbiamo scelto di affrontare le parti comiche ben sapendo che non è possibile tradurre una battuta al di fuori del contesto culturale nel quale è nata. D’altro canto bisogna evitare di dare l’impressione di stare attualizzando il testo, è necessario mantenere il carattere di universalità proprio di Shakespeare. Ecco perché in Sogno di una notte di mezza estate, sapendo che il modello degli artigiani erano in certo modo superato, ci siamo domandati quali potessero essere oggi le figure credibili legate a una corte. La risposta è venuta da sé: il cuoco, la cameriera e lo sguattero. L’idea poi che i “servi” avessero addirittura il compito di recitare la commedia ci sembrava particolarmente divertente».

The History Boys ha avuto un ottimo successo l’anno scorso e lo sta replicando. Come mai piace anche in Italia un testo così fortemente British?
E. D. C.: «Il testo è ambientato negli anni 80 ma Alan Bennett pensava al 2004: alla riforma laburista, di chiara ispirazione thatcheriana, che ha prodotto un risultato abnorme. Su cinque enti di certificazione dei vari gradi di istruzione inglese, quattro sono privati e il maggiore, a Londra, è come se fosse proprietà della Mondadori. Il conflitto di interessi è quindi abominevole. Inoltre, molte situazioni sono sentite come proprie dagli studenti italiani perché da noi manca la vera eccellenza ma, viaggiando, partecipando all’Erasmus, e così via, anche gli italiani si sono ormai accorti di come funziona il sistema educativo in altri Paesi, e possono immedesimarsi facilmente in problematiche non molto diverse da quelle che vivono quotidianamente o che hanno sperimentato nei loro soggiorni all’estero».

Molte tra le sue regie sono firmate a quattro mani con Ferdinando Bruni: come mai? Vi è una divisone di compiti?
E. D. C.: «Bruni e io siamo agli antipodi: il mio motto è desiderare il massimo; o ancora, sperimentare ragionando, pensare che il cambiamento cominci sempre da se stessi. Mentre il suo è: il meglio è nemico del bene. Di conseguenza, io butterei tutto all’aria e, al contrario, lui ricompone. Ci integriamo proprio perché, sempre nel rispetto l’uno dell’altro, pur essendo due nature tanto diverse, riusciamo a tirare fuori il meglio da ciascuna natura».

Lo spettacolo continua:
Elfo Puccini – Sala Fassbinder
corso Buenos Aires 33 – Milano
fino a domenica 20 novembre
orari: da martedì a sabato ore 20.30 – domenica ore 15.30
The History Boys
di Alan Bennett
traduzione Salvatore Cabras e Maggie Rose
regia Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani
con Elio De Capitani, Ida Marinelli, Gabriele Calindri, Marco Cacciola,
Giuseppe Amato, Marco Bonadei, Angelo Di Genio, Loris Fabiani, Andrea Germani,
Andrea Macchi, Alessandro Rugnone e Vincenzo Zampa
luci Nando Frigerio
produzione TEATRIDITHALIA
Elfo Puccini – Sala Shakespeare
fino a domenica 13 novembre
orari: da martedì a sabato ore 21.00 – domenica ore 16.30
Il racconto d’inverno
di William Shakespeare
regia, traduzione, scene e costumi
Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani
con Ferdinando Bruni (Leonte), Cristina Crippa (Paulina/Mopsa),
Elena Russo Arman (Ermione/Dorca), Corinna Agustoni (Emilia/la trattora),
Luca Toracca (Cleomene/sguattero), Cristian Giammarini (Polissene)
Nicola Stravalaci (Camillo/maggiordomo), Federico Vanni (Autolico/carceriere/il Tempo),
Enzo Curcurù (Antigono/il cuoco), Alejandro Bruni Ocaña (Florizel/cortigiano/medico), Carolina Cametti (Perdita/Mamillio) e Umberto Petranca (Zotico/Archidamo/medico)
luci di Nando Frigerio
produzione TEATRIDITHALIA