L’amore ai tempi di Euridice e Orfeo

bellini-napoliFino a domenica 14 febbraio, al Teatro Bellini di Napoli c’è Euridice e Orfeo, portato in scena da Valeria Parrella con la regia di Davide Iodice. La messinscena riprende e rivede uno dei più grandi miti di tutti i tempi, lasciando spazio a nuove prospettive e interpretazioni.

Era il I secolo a.C. quando Virgilio nelle Georgiche e Ovideo nelle Metamorfosi narravano la tormentata storia d’amore tra Euridice e Orfeo.
Febbraio 2016, ovvero III sec d.C.: Valeria Parrella, con la regia di Davide Iodice, propone al Bellini di Napoli una rielaborazione del mito, che diventa una dichiarazione d’amore intensa e drammatica.
Riprendere un mito così usato e abusato dal tempo, dalla letteratura, dalla musica e dalla scultura non è un’operazione semplice; pensare che ci sia ancora qualcosa da dire, una nuova riflessione da elaborare, è una bella sfida che la Parrella accoglie e di cui bisogna renderle atto.
Brevemente: Euridice (una ninfa) e Orfeo (l’artista per eccellenza) sono sposati. Euridice – in seguito al morso di una vipera – muore, così Orfeo decide di scendere negli Inferi per convincere Ade e Persefone a farla tornare in vita. Le divinità si lasciano persuadere e accordano la sua richiesta a patto che nel viaggio di ritorno egli non si volti mai a guardare la sua sposa. Ma Orfeo si volta ed Euridice sparisce per sempre.
Orfeo respexit, dice la tradizione: verbo che non ha un equivalente nella lingua italiana, si voltò indietro, ma perché lo fece?
Da questa domanda parte la rielaborazione del mito.
La messinscena è rappresentata da Federica Fracassi e Michele Riondino (i due amanti), Davide Compagnone (Hermes) ed Eleonora Montagnana (figura e coro).
C’è molta attualizzazione del testo, in particolare per ciò che riguarda il rifiuto dei limiti terreni da parte di Orfeo. C’è, oggi come allora, la negazione della morte esplicata attraverso la mitizzazione dei defunti, la riproduzione della loro immagine, il tentativo di trattenerli ad ogni costo in una vita che non gli appartiene più; morti che non possono più vivere, ma che non sono liberi di morire. La morte come parte della Vita, non come sua negazione: ecco ciò che l’uomo moderno, al pari di quello antico, si ostina a rifiutare.
La scenografia è onirica e incantata, con immagini tipicamente mitologiche; il talamo, un albero, un armadio specchiato, qualche sedia, una manichino come alter ego di Euridice.
Siamo in un tempo e in un luogo sospesi, che non si collocano in nessuna delle dimensioni temporali e spaziali che siamo abituati a conoscere; né passato né presente né futuro, né qui, né lì, ma per sempre, ovunque.
La sceneggiatura conserva uno stampo classico e aulico; la musica – realizzata dal vivo dai musicisti in scena – suona come una carezza; gli attori interpretano i loro ruoli con grande carica melodrammatica, a tratti eccessiva. Domina l’aspetto lirico e patetico a ogni monologo o dialogo tra i due amanti, dialogo immaginario perché Euridice e Orfeo – non appartenendo più allo stesso mondo – non potranno mai più ascoltarsi né parlarsi. Ma lo fanno ugualmente, anche nella solitudine della loro disperazione che non trova pace.
Da una parte Orfeo si logora pensando che la morte sia una questione di chi resta; dall’altra Euridice gli ricorda, forse rimprovera, di non aver valorizzato abbastanza ciò che aveva quando era in vita. Colpa dell’essere umano è, quindi, quella di dimenticare presto come “il mare non sia fatto solo per essere pescato, ma anche per essere guardato; come il cielo non sia solo oggetto di osservazione per indovinare il tempo, ma spazio immenso, custode di stelle e costellazioni da contemplare“.
Ma l’uomo è distratto, si diceva qualche rigo fa, ed è proprio in questa distrazione che si compie il destino, talvolta infame.
Orfeo, voltandosi – non per curiosità come ci hanno fatto credere a scuola o per incapacità di rispettare l’attesa – accetta, infine, la morte di Euridice; voltandosi egli guarda se stesso piuttosto che lei; il suo voltarsi diventa, quindi, accettazione della morte, unica condizione per tornare a vivere, una volta respinta con rispetto e con amore Euridice agli Inferi.
Virgilio ci racconta che Orfeo – una volta tornato al mondo dei vivi – pianse per sette mesi ininterrottamente; Ovidio è meno sentimentale, gli concede solo sette giorni.
Che siano stati sette mesi o giorni è bello immaginare che Orfeo si sia, infine, rasserenato e abbia ripreso la sua lira per elevare nuove lodi al cielo; Valeria Parrella chiude la rivisitazione del mito con l’immagine finale di Orfeo che si addormenta stanco in un letto di fiori. È la sua morte o la sua rinascita?
Allo spettatore l’ardua sentenza. Con ogni probabilità siamo dinanzi a un sonno che sa di rinascita a nuova vita con nuove consapevolezze.

Lo spettacolo continua
Teatro Bellini
via Conte di Ruvo, 14, 80100 Napoli
fino al 14 febbraio 2016
Euridice e Orfeo
di Valeria Parrella
con Michele Riondino, Federica Fracassi, Davide Compagnone, Eleonora Montagnana, musica in scena Guido Sodo, Eleonora Montagnana
spazio scenico, maschere, costumi Tiziano Fario
musiche originali Guido Sodo
regia e luci Davide Iodice
produzione Fondazione Teatro di Napoli