Se la morte è sogno

Pirandello incontra Franco Scaldati nella rivisitazione drammaturgica di Vetrano e Randisi e il palcoscenico del Carcano si abita di Fantasmi per uno spettacolo dolceamaro, una retrospettiva a mosaico sulla vita.

Una messa in scena equilibrata, quella di Vetrano e Randisi, nell’alternanza di profondità filosofica, prove d’attore e atmosfere oniriche calate in una cornice da teatro dell’assurdo, come ricorda la silhouette dell’albero sparuto sul fondale, quasi a citare Aspettando Godot.

Il primo fantasma è già in platea prima che il pubblico sia seduto. Potrebbe essere scambiato per un anziano spettatore un po’ sperduto e incuriosito dalla folla. Ma il suo incedere appartiene a un tempo del tutto diverso da quello reale e già ci introduce nel sogno. Lui è L’uomo dal fiore in bocca, mentre scorgiamo Lei, che lo insegue, lo tiene d’occhio.

Una scena minimale, illuminata sapientemente da Maurizio Viani: un binario accanto a cui sostano o vagano i personaggi e i fantasmi di una notte tra sonno e veglia, tra vita e morte. Il tema è quello dell’attesa della fine, vissuta con angoscia, rabbia, accettazione oppure con lo stupore non privo di ironia di ritrovarsi ancora vivi nonostante il trapasso. Ma non si pensi di trovarsi scaraventati contro la “porta dello spavento supremo”. Al contrario, persino Pirandello appare nelle sue vesti più consolatorie e il suo incedere corrosivo è stemperato da suggestioni poetiche inattese. I toccanti monologhi dei protagonisti, che posseggono la lucidità e la violenza filosofica delle riflessioni pirandelliane, trovano nell’accostamento spiazzante alla levità dei due personaggi di Scaldati – che portano gli echi dei Gogo ed Estragone beckettiani – una nuova prospettiva di lettura.

Entrano bene l’uno nell’altro i testi di Pirandello e di Scaldati: un’operazione drammaturgica efficace, libera, che preferisce disegnare un tracciato emotivo in cui lasciarsi trasportare piuttosto che una vicenda da seguire. Come gli stessi Vetrano e Randisi raccontano, la scrittura del testo avviene a ridosso della scena; le parole acquistano senso solo nella fisicità e nella musicalità – tipicamente siciliana – che ne danno gli interpreti e il dialogo con la scenografia e le musiche origina un nuovo tracciato narrativo. Se nei brani tratti da Pirandello si fa pregnante la presa di coscienza dell’inadeguatezza e della crudeltà del tempo quotidiano ad assaporare gli istanti fuggevoli della vita, i due esili Totò e Vicè di Scaldati, spiriti strampalati e saggi almeno quanto folli, si mostrano intenti a bighellonare tra la vita e la morte con il candore di due bambini di fronte allo stupore dell’immortalità.

Notevole l’interpretazione di Margherita Smedile nei panni di Lora in Sgombero, non a caso comparata alla Anna Magnani più toccante. Seduta sul letto di morte del padre, tutt’altro che incline a compiangerlo, gli sputa in faccia tutto il dolore che le ha provocato lasciandola in mezzo a una strada dopo essere stata disonorata.

Poi c’è L’uomo con il fiore in bocca, l’uomo con la morte addosso che si divide tra la brutale protesta contro la sua condizione e il fascino che essa porta con sé: quello di concedersi voluttuosi inabissamenti in cui con l’immaginazione si attacca alla vita degli altri come l’edera. Cosa c’è di invidiabile nella vita di chi, da sano, si fa scappare ogni dettaglio dell’esistenza per lasciarsi inghiottire dalla frenesia inumana di una quotidianità che tutto disintegra e spoglia di ogni interesse? E allora godiamo del lusso di osservare con lui la bravura dei ragazzi di bottega dietro le vetrine, mentre impacchettano con abili gesti le stoffe variopinte, rapiti da un tempo sospeso a cui solo può concedersi chi vive a un passo dalla morte.

I quadri scenici di Totò e Vicè ci ricordano quanto imperscrutabile sia il mistero del trapasso e ci suggeriscono che il vuoto lasciato dalla morte è abitato in realtà da figure vive, vitali, struggenti e dense di emozioni, inconsapevoli esempi di immortalità. Le voci dolcissime dei due vecchi che continuano a chiamarsi l’un l’altro – come a trovare un conforto nella conferma della reciproca presenza, grazie anche alla musicalità vibrante di cui è complice l’efficacissimo incedere del dialetto siciliano – ebbene i due anziani, i due spiriti, tessono una poesia sonora fatta di ironia e di nonsense. Si aspettavano che la morte li separasse, li spazzasse via e, invece, eccoli che appaiono e scompaiono tra le pieghe della scena con la loro irriducibile poesia, con le loro voci che nulla potrà più cancellare.

Lo spettacolo continua:
Teatro Carcano
corso di Porta Romana, 63 – Milano
fino a domenica 18 dicembre
orari: giovedì, ore 20.30 – venerdì e sabato doppio spettacolo, ore 15.30 e 20.30 – domenica ore 15.30
 
Fantasmi
L’uomo dal fiore in bocca – Sgombero – Colloqui coi personaggi di Luigi Pirandello
e con Totò e Vicè di Franco Scaldati
testo e regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi
con Enzo Vetrano, Stefano Randisi, Margherita Smedile
luci Maurizio Viani
scene Marc’Antonio Brandolini
costumi Mela Dell’Erba
suono Alessandro Saviozzi
produzione Teatro de Gli Incamminati – Diablogues