Non c’è limite alla scelleratezza per un’umanità disperata

tieffe-teatro-milanoSul pancoscenico del Teatro Menotti il capolavoro di Annibale Ruccello, portato in scena da Arturo Cirillo.

Non è un caso che sia un drappo rosso a campeggiare al centro della scena di Ferdinando, celebre opera del compianto autore stabiese Annibale Ruccello, in scena al Teatro Menotti per la regia di Arturo Cirillo. Il grande drappo acceso di un rosso vermiglio è infatti una sorta di muto testimone e, al contempo, di sibillino anticipatore della portata violenta e sanguigna dei sentimenti che bruceranno nei cuori dei personaggi e degli atti turpi e sacrileghi che si consumeranno sulla scena.
Nel 1870, all’indomani della caduta del Regno delle Due Sicilie, l’austera baronessa Clotilde – interpretata mirabilmente da Sabrina Scuccimarra – ha scelto di rinchiudersi nella sua ipocondria e tra le mura della sua villa vesuviana per non assistere allo “scempio” della nuova Italia sabauda. A tenerle compagnia nelle giornate che trascorrono sempre uguali, una cugina povera, Gesualda (una cupa e brava Monica Piseddu) – zitella e «figl’e zoccola», come l’addita spesso l’impietosa Clotilde – e Don Catello, viscido e ambiguo parroco, a cui dà corpo e voce lo stesso regista della pièce Arturo Cirillo.
Tra cattiverie e insinuazioni più o meno velate, la vita dei tre personaggi scorre lenta e angosciante nella sua ripetitività e nella più triste desolazione, toccando punte di estremo squallore nella tresca clandestina e blasfema che si consuma tra Gesualda e Don Catello.
Improvvisamente, gli spazi cupi e gli antri oscuri del palazzo vengono “illuminati” dall’arrivo di un presunto nipote di Clotilde, Ferdinando, che risveglierà nel terzetto passioni carnali sopite e desideri inconfessabili. Il giovane e apparentemente innocente Ferdinando, interpretato da Nino Bruno, giocherà con i tre malcapitati, alimentando le loro passioni smodate e irretendoli a tal punto da renderli marionette nelle sue mani. Il ragazzo è in realtà il figlio di un notaio insinuatosi con l’inganno nella casa della baronessa per impadronirsi delle ultime ricchezze rimaste alla nobildonna.
Lussuria, inganno, disprezzo e blasfemia sono quattro elementi cardine dell’opera, che come sinistri bagliori brillano negli occhi dei personaggi e ne guidano le azioni, in una continua e tumultuosa alternanza di parti contrapposte e speculari. La bellezza esteriore del giovane Ferdinando fa infatti da contrappunto alla perfidia del suo animo, così come le nobili origini di Clotilde costituiscono il controcanto della povertà di Gesualda e il dialetto napoletano, simbolo del Regno borbonico appena sconfitto, quello della lingua italiana, emblema dell’Italia appena nata. Su un livello diverso, più grottesco, si colloca la tresca tra Gesualda e Don Catello, che vede la donna, seppur arida e per certi versi spietata, sinceramente innamorata del sacerdote, che invece cela sotto l’abito talare un cuore nero e cupo, un animo colmo delle peggiori inclinazioni umane.
In questo continuo gioco di contrapposizioni, l’opera risulta ben strutturata, arricchita dal regista di una nuova profondità e caratterizzata da un meccanismo scenico perfettamente funzionante, in cui ogni attore/personaggio occupa esattamente lo spazio a lui destinato, costruendo un’immagine corale a metà strada tra un elaborato rompicapo e un suggestivo tableau vivant.
Assolutamente perfetta Sabrina Scuccimarra nei panni della baronessa Clotilde (la cui parte fu scritta da Annibale Ruccello per la grande Isa Danieli), che riesce a rendere credibile un personaggio rancoroso e cattivo, ma caratterizzato da una brillante vena comica. Dal canto suo, Monica Piseddu dà abilmente vita a una sublime Gesualda, inaridita dalla solitudine ma capace comunque di provare sentimenti totali e di non rassegnarsi all’esistenza triste e vuota che la sorte le ha riservato. Nino Bruno incarna invece l’oggetto del desiderio dei tre personaggi, limitandosi spesso a lasciar “parlare” la sua fisicità e la sua bellezza efebica e dando l’impressione di trascurare la dimensione “interiore” del personaggio, rendendolo per buona parte del tempo una sorta di ottocentesco “toy boy”.
La natura viscida e la lasciva inclinazione al peccato di Don Catello vengono esplicitate senza filtri da un sapiente Arturo Cirillo, che rende ancor più odioso un personaggio spregevole e conferma ancora una volta il legame che lo unisce ad Annibale Ruccello, considerato a ragione uno degli autori più originali del teatro italiano del secondo Novecento.

Lo spettacolo è in scena:
Tieffe Teatro Menotti
via Ciro Menotti, 11 – Milano
fino a domenica 17 febbraio
orari: martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 21.00
mercoledì ore 19.30 – domenica ore 17.00

Ferdinando
di Annibale Ruccello
regia Arturo Cirillo
con Sabrina Scuccimarra, Monica Piseddu, Arturo Cirillo, Nino Bruno
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
disegno luci Badar Farok
musiche Francesco De Melis
assistente regista Roberto Capasso
produzione Fondazione Salerno Contemporanea – Teatro Stabile d’Innovazione
in collaborazione con Benevento Città Spettacolo