Esistenze in gabbia

Prosegue il fortunato incontro tra la drammaturgia di Annibale Ruccello e la regia di Arturo Cirillo, con il testo capolavoro Ferdinando.

«Logica e inconsueta, allo stesso tempo, mi appare la decisione di portare in scena Ferdinando di Annibale Ruccello». Così ha dichiarato Arturo Cirillo, originario di Castellammare di Stabia, proseguendo la riflessione registica sui testi del concittadino Annibale Ruccello, dopo i fortunati lavori su L’ereditiera (2003) e Le cinque rose di Jennifer (2006).

Ferdinando, scritto nel 1985 per Isa Danieli e vincitore di due Premi IDI (come Miglior testo teatrale e Miglior messinscena), è stato il testo che ha dato fama nazionale all’autore (prematuramente scomparso), e che forse ne rappresenta più di tutti il “manifesto” artistico.

La vicenda si svolge nel 1870, all’indomani dell’Unità d’Italia e della caduta del Regno delle Due Sicilie. La nobile vedova napoletana Clotilde Lucanigro si rinchiude in una sua villa di campagna, ostentando uno stato di perenne malattia per fuggire il cambiamento politico, sociale e storico, ormai avviatosi fuori della sua dimora/prigione. Di lei si occupano la cugina Gesualda, che le fa in pratica da cameriera e badante, e il parroco del paese Don Catello, amante della cugina e molto interessato alle ricchezze della vecchia signora. A scombinare la loro routine, giunge un sedicenne, che afferma di essere nipote di Clotilde e di chiamarsi Ferdinando. Il fascino del ragazzo, la sua giovinezza, il nome borbonico, gli permettono di entrare nella vita dei tre personaggi, conquistarli, ingannarli persino sul nome: si scoprirà infatti che non è il nipote della baronessa ma il figlio del notaio che ha già ipotecato la villa e i terreni dei Lucanigro, che ha lo scopo di rubare la cassetta dei gioielli della nobildonna, e che si chiama Vittorio Emanuele Filiberto, nome savoiardo, nome nemico agli occhi della baronessa.

Il dramma, che ha alle spalle la nutrita letteratura meridionale ottocentesca, permette un altro livello di lettura, simbolico: l’incontro tra Clotilde e Ferdinando si può intendere come metafora di un passaggio generazionale (vecchio/giovane), politico-sociale (Borboni/Savoia), culturale (campagna/città), linguistico (dialetto/italiano). Più in generale, la vicenda storica consente all’autore di proseguire il proprio lavoro d’indagine sui rapporti umani, secondo una visione antropologica e psicologica; rappresenta infatti tre individui legati da rapporti malsani di interesse, ipocrisia e corruzione, ingabbiati in un’asfittica routine, inibiti nelle emozioni, frustrati nella sessualità. Il giovane e apparentemente angelico impostore, portatore di amore e bellezza, fa loro (ri)scoprire passioni e ardori; tanto che, svelato l’inganno, Clotilde saluta Ferdinando/Vittorio Emanuele Filiberto con un «Grazie», per averle (ri)dato l’intensità della vita.

Entrambi i livelli testuali sono messi in luce dalla regia di Arturo Cirillo, piuttosto fedele alle didascalie della pièce ruccelliana (anche grazie ai costumi e alle scene in stile ottocentesco), ma propenso a “tradire” l’autore nell’interpretazione dei personaggi. La Clotilde di Monica Scuccimarra (distante dalla recitazione austera e severa della sua prima e straordinaria interprete, Isa Danieli), oltre a dimostrarsi consapevole di fingere la malattia dietro cui si è barricata e che l’autorizza a vivere sempre a letto, è ironica, allusiva nel parlare dell’ambiguo rapporto tra la cugina e il parroco, compiaciuta e volgare nell’apostrofare l’una «figlia ’e zoccola» e l’altro «figlio ’e ’na lavannara».

D’altra parte, Gesualda (interpretata da Monica Piseddu) e Don Catello (portato in scena dallo stesso Cirillo) risultano, rispetto al testo di Ruccello, meno servili e adulatori verso la baronessa, grazie alle controscene fatte di mimica corporea e giochi di sguardi che li rendono a volte beffardi a volte colpevoli, e li fanno “dialogare” fra loro, durante i lunghi monologhi della vedova.

Meno convincente appare Nino Bruno nei panni di Ferdinando. E forse è eccessiva l’infantilità fisica del giovane attore, rispetto all’attrazione e alla perfidia che si celano nel suo personaggio. Sebbene proprio l’aspetto bambinesco dell’interprete, suscitando disagio emotivo di fronte ai rapporti fisici tra il ragazzo e gli altri personaggi, faccia emergere il fantasma inquietante della pedofilia o piuttosto della capacità seduttiva della fanciullezza: un mostro e un tabù, che rendono ancor più attuale il testo di un indimenticabile drammaturgo.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro dei Servi – Massa
venerdì 11 e sabato 12 gennaio, ore 21.15

Ferdinando
di Annibale Ruccello
regia Arturo Cirillo
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
disegno luci Badar Farok
musiche Francesco De Melis
assistente alla regia Roberto Capasso
con (in ordine alfabetico) Nino Bruno, Arturo Cirillo, Monica Piseddu, Sabrina Scuccimarra
produzione Fondazione Salerno Contemporanea Teatro Stabile d’Innovazione
in collaborazione con Benevento Città Spettacolo
(durata 2 ore)