InEquilibrio 2015. Un’intensa maratona

pescebn-672x372Mercoledì 24 giugno. Si inaugura il Festival al Castello Pasquini di Castiglioncello. Programma innovativo e coinvolgente, nonostante la deplorevole mancanza di Fame chi è Pasquale di Roberto Abbiati/Leonardo Capuano.

Alle 17.00, Sala del camino. Il primo spettacolo è la versione firmata Garbuggino/Ventriglia de Il gabbiano di Čechov, che si trasforma in Gabbiani nello spazio, con un uso del plurale che porta a domandarsi se la metafora del gabbiano riferita alla giovane attrice non valga in realtà per tutti i personaggi, ossia se non siano tutti quanti vittime di chi, passando per caso e non avendo di meglio da fare, li uccide per noia. La noia, quale vera protagonista – come nel libro di Moravia e nel film di Damiani.

Didascalie riferite, recitazione antinaturalistica, gli attori che si muovono nello spazio percorrendo traiettorie pulite, interagiscono poco fra loro attraverso i corpi e raramente si guardano negli occhi. Piuttosto interpellano direttamente il pubblico perorando la loro causa, chiedendo ascolto. Per la messinscena la scelta cade su uno spazio neutro – abitato da poche sedie e panche – che si apre sul nulla, come nello spettacolo di Kostja.

Pronunciato in questo modo dagli attori, il testo di Čechov risuona in tutta la sua bellezza e profondità, risultando complesso, intenso, ricco di tutte le possibili sfumature della noia di esistere. «Dopo che si è letto Tolstoj, che altro si può leggere?», chiede Trigorin durante lo spettacolo. E le parole sembrano risuonare profetiche. In questa mise en abîme, il grande scrittore russo – tra i personaggi del dramma – dimostra di non amare il teatro di Čechov; anzi, di non capirlo, perché ritiene che i suoi protagonisti siano fiacchi e le trame contengano poca azione (sebbene lo stimi molto per i suoi racconti). In fondo, Trigorin è lo specchio dei tempi in cui Čechov è vissuto e, tuttora, avvicinare l’autore de Il gabbiano significa immergersi nel grigiore di un’esistenza, che ristagna o galleggia appena, senza vigore – soffocante e illuminante allo stesso tempo.

Gabbiani nello spazio ha il pregio di esaltare e restituire queste sensazioni. Lasciando negli spettatori un grande bisogno di correre e gridare per riappropriarsi della loro vita, non appena usciti dalla Sala.

 Alle 20.00 è la volta de I canti,  firmato da Claudio Morganti. La domanda che sorge spontanea è: “se la meraviglia è qualcosa che si subisce, si deve anche tacere?“.

L’artista attende, seduto nella sua postazione e circondato dalle percussioni, mentre il pubblico entra nella Sala del thè e si accomoda. Morganti suona e accoglie gli spettatori. In Sala sono sistemati tavolini imbanditi con frutta e vino, ma al di sopra sono posizionati i riflettori a piombo – il che trasforma l’intero ambiente in un unico spazio teatrale. D’un tratto, salta alla mente un titolo per l’evento cui si assiste: “aperitivo con allucinazione di fuggiasco”. Non a caso, ascoltando note e parole viene voglia di chiudere gli occhi ed ecco apparire la visione: lo vediamo, possiamo/dobbiamo seguirlo. I pensieri di Campana sono musica che Morganti cerca di interpretare con mezzi vocali e sonori. La voce non è però solo un insieme intangibile di suoni: ruvida e corposa, possiede una consistenza quasi materica, concreta. I nostri sensi si lasciano ottundere da atmosfere tribali e terrigne. Il sogno/incubo si scolora di verde e di bruno. Nel porto sicuro, si accendono il blu e il giallo brillante. Di fronte agli occhi della mente, si aprono luoghi immersi nella nebbia e porte misteriose che si spalancano su ambienti oscuri; lo spettatore spia abbracci con donne giganti. Poi un respiro, parole cadenzate e il buio.

A metà dello spettacolo, circa, l’interprete si e ci concede una pausa per alleggerire l’atmosfera, intrattenendo il pubblico con due chiacchiere e una breve affermazione di estetica. Racconta il suo tentativo di esplorare dal vivo, in nostra presenza, le letture, perché ritiene necessario evitare le prove e il mandare a memoria, fissando per sempre, cristallizzando un qualcosa che, al contrario, va ricercato a ogni performance, come la vita – in ogni diversa e imprevista esecuzione. Ma, potremmo aggiungere noi, per farlo occorre mantenere l’equilibrio come un funambolo sul filo.

In questo caso, è Morganti, e può farlo. Quanto offre al pubblico è davvero un qualcosa di unico, oltre che una dichiarazione di intenti. Tutto ciò è innegabile e, così come la meraviglia, non si può tacere.

A conclusione di giornata, si entra a Tenso sotto, dove è di scena Inferno Novecento della Compagnia Lombardi-Tiezzi.

A dieci anni da Dante Inferno, il regista Federico Tiezzi riprende in mano i celebri Canti e riunisce la coppia Sandro Lombardi e David Riondino per questo recital, che vive fondamentalmente della bellezza e dell’intensità del testo e dell’incontro dell’universo dantesco con quello contemporaneo.

Non è però sufficiente accostarli, in quanto occorre anche la presenza di sostanze reattive fra loro, ossia di profondi elementi in comune, o di particolari scarti di significato. In alcuni casi, al contrario, gli elementi comuni sembrano essere solo i soggetti o le situazioni considerati in superficie, e le associazioni proposte appaiono giustapposizioni, mentre la reazione fra i testi non si innesca completamente.

Ogni personaggio, ogni situazione della Divina Commedia è una costellazione complessa di intenzioni e significati, che si inseriscono un una visione non solo politica ma anche morale e infine universale dell’esistenza. I dannati sono peccatori che stanno scontando una pena divina e, per molti di loro, la colpa e la punizione subita non nascondono, bensì esaltano la loro umanità (anche nel male). Viene dunque da chiedersi chi siano i nostri dannati e chi decida il loro destino eterno.

Sebbene per le coppie Ulisse-Pasolini o Pier della Vigna (suicidi) – Marilyn/Haydée Santamaría (guerrigliera e politica cubana) il cortocircuito avvenga e offra un’idea di quale potrebbe essere il senso dello spettacolo, in altri casi l’accostamento risulta meno comprensibile ed è decisamente complicato comprendere in profondità l’analogia o il significato degli accostamenti proposti. Pensiamo, ad esempio, all’articolo sull’esecuzione dei Cristiani Copti in Egitto in relazione alle vicende del Conte Ugolino. Perché sono all’inferno e che colpa stanno scontando le vittime dell’Isis? È la loro cruda morte, così offensiva, che li associa al Conte? O cos’altro? E, ancora, qual è il senso della coppia Giganti-Torri Gemelle? Se le torri in sé – fisicamente/simbolicamente – sono connesse ai giganti, potremmo considerare questi ultimi (confusi da Dante con delle torri) come il simbolo dell’ottusità ma anche della presunzione umana? Come i giganti sconfitti dal divino, anche l’abbattimento delle torri (simboli di un capitalismo liberista e guerrafondaio) ha qualcosa di divino? In alternativa, potremmo semplicemente considerare le Twin Towers in fiamme come vittime della violenza, trasformate in mostri feriti e sanguinanti. Ma a che scopo? Per finire, nel caso delle coppie di amanti Paolo e Francesca v/ Dodi Al Fayed e Lady D, il nesso fra le vicende, per quanto scontato, non riesce a offrire ulteriori spunti di riflessione oltre quelli immediati.

Se Dante può essere una lente di ingrandimento per leggere il contemporaneo e viceversa, qual è il peculiare portato di ciascun testo? Si fa fatica talvolta a individuarlo e, tutto sommato, la lente sembra essere spesso neutra e, quindi, il suo uso non eccessivamente opaco.

Gli spettacoli sono andati in scena all’interno del Festival Inequilibrio
 2015:
Castello Pasquini

Castiglioncello (LI)

ore 17.00 – Sala del camino
Compagnia Garbuggino/Ventriglia – Teatro Florenskij presentano:
Gabbiani nello spazio
da Il Gabbiano di A. P. Čechov

ore 20.00 – Sala del thè
Compagnia Claudio Morganti presenta:
I Canti
estratti dai Canti Orfici di Dino Campana

ore 22.00 Tenso Sotto
Compagnia Lombardi-Tiezzi presenta:
Inferno Novecento
Dante e il grande giornalismo del secolo breve
con Sandro Lombardi e David Riondino