Teatro come maestro di vita

In occasione dell’imminente B.Motion Festival, la branca Off del già in corso Operaestate Festival Veneto 37, abbiamo dialogato con due compagnie che sono riuscite a ritagliarsi uno spazio di un certo rilievo nella scena nazionale, i Fratelli Dalla Via (per l’occasione accompagnati dai Gold Leaves) e gli Anagoor, per ribadire la funzione pedagogica del teatro in quanto luogo di ascolto.

Nonostante le bagarre degli ultimi giorni circa il patrocinio della Regione – gaglioffo, scostumato e fatto a occhi bendati, a detta di alcuni -, il festival Operaestate e la sua parentesi Off, B.Motion, s’ha da fare. Perché da 37 anni a questa parte, i soldi investiti in Cultura hanno seminato negli “utenti” del circuito bassanese una quantità incommensurabile di parole-magnete, di frasi, versi e espressioni che vivono nel sottocute e attendono pazientemente di risuonare con la grande calamita della memoria e delle idee. Perché il teatro non fa male a nessuno, se non a coloro che tentano di imbrigliarne la furia creativa per il proprio tornaconto, scomponendone il contesto e, di riflesso, il testo, scardinandone le quinte e privandolo del proprio diritto (in certi casi avallato da bandi internazionali) di esprimersi. Perché un festival è un’occasione unica di incontro e maturazione (per non parlare di turnover locale), due concetti che non possono vivere vite segregate l’uno dall’altro, giacché solo dal confronto e dallo scontro nascono cammini alternativi che si diramano dal terreno battuto a suon di stivali inchiodati nella certezza di un’ideologia autocratica, unica e sorda e generano una culturo-diversità essenziale per una sopravvivenza costruttiva (quella distruttiva è ben più facile da raggiungere, basta creare posti di lavoro con fondi per ben altri scopi et voilà, la massificazione è servita).

Il festival Operaestate s’ha da fare perché abbiamo bisogno di tornare ad ascoltare, soprattuto là dove cercano di impedirlo. Per tutti questi motivi, abbiamo chiesto alle due compagnie di cui sopra di parlarci delle proprie creazioni, che presenteranno rispettivamente il 30 e il 28 agosto nel mini-festival B.Motion.

Buon ascolto.

Fratelli Dalla Via/Gold Leaves

PPP. All’orecchio viene subito in mente un nome tagliente, prolifico e insostenibile nella sua mancanza, che in qualche modo sta alla letteratura come Andrea Pazienza sta al fumetto. Perché scegliere di concentrarsi sugli schizzi e gli scazzi del sambenedettese e creare questo Personale, Politico, Pentothal?

Marta Dalla Via: «Lascerei da parte gli schizzi e mi concentrerei sugli scazzi. Non tanto quelli di Paz ma quelli di una lingua che attraversa l’Italia dal 1977 al 2017 e inciampa, inventa, rincorre. Specchio di una storia plumbea e dorata, il lessico subisce piccole ma continue metamorfosi diventando slogan poi slang poi hashtag. Dalla grafica dei balloon alle rime dei ventenni Gold Leaves. Prendendo come contenitore il sogno, meccanismo narrativo mutuato da Le straordinarie avventure di Pentothal, ho pensato di raccontare per simboli ed episodi teatrali la confusione e la frammentazione in cui è caduto l’inconscio collettivo contemporaneo, vittima e carnefice di un eccesso di comunicazioni e di comunicatori. Ho scelto Andrea Pazienza perché è icona del benedetto e del maledetto, perché è cadavere esemplare di un momento cruciale della nostra storia recente e perché mi interessava omaggiare le sue capacità di narratore, meno immediate del suo noto talento nel disegno».

Lo scontro generazionale messo in scena tra chi la rivoluzione l’ha provata a fare tra le strade di Bologna e chi l’ha vista di sghembo riflessa sullo schermo di uno smartphone, tra una notifica e una foto di un culo, è uno dei temi centrali affrontati da quest’«Opera Rap», dove il collettivo si disintegra in individuale, rimanendo apparentemente “social”. Come descriverebbe Paz questa situazione?

MDL: «Direbbe: “Per fortuna ci sono io che sono una moltitudine”, mettendoci in crisi con le definizioni. Battute a parte, essendo un attento osservatore del quotidiano, nell’Opera di Andrea Pazienza possiamo già intravvedere alcune riflessioni profetiche. In particolare penso a La logica del Fast-food, storia a fumetti degna della miglior “cinico TV” o, per addentrarci ancora di più nel vivere odierno, di un episodio di Black Mirror. Pazienza coglie l’occasione per nominare Berlusconi, Fininvest, una certa Italia da bere e si avverte che qualcosa sta cambiando o è già cambiato… È morto nel 1988, proprio nel momento in cui la TV commerciale è esplosa. Ma cosa farebbe Paz oggi, da che parte starebbe, nessuno di noi può dirlo. Paradossalmente, potrebbe anche essere il giudice di un talent per disegnatori…».

Una per i tipi di Gold Leaves. «Il teatro è lo spazio dell’ignoto. Il rap dice tutto quello che non si può dire. Entrambi devono parlare quando gli altri stanno zitti», o, come direbbe er Danno, «c’è un momento per parlare e adesso sta’ a sentire». Per un filone artistico che resta fuori dal contesto mainstream, com’è trovarsi su un palcoscenico a volare sulla rima senza quel feedback diretto che si ha sempre nei concerti o nei momenti di freestyle da strada? Non ci si sente, in qualche modo, snaturati?

Gold Leaves: «Ci sentiamo come meretrici in chiesa… Anche perché non siamo abituati ad avere tutto questo silenzio o questa compostezza in platea. Siamo gasati dall’opportunità di raccontarci in rima di fronte a persone che non conoscono o che hanno un’idea prefabbricata di cosa sia la scena rap indipendente. Molti non hanno mai sentito rappare live o non sanno cosa sia una freestyle battle.

Ha molto senso per noi rivolgerci anche a chi “ci schifa” qualche volta per pregiudizio qualche volta a ragione! Ci sentiremmo snaturati se ci fossero stati imposti dei contenuti o se ci fossero state delle censure. Qui l’unica imposizione è il contenitore! Non conosciamo bene il mondo del teatro ma per quel che abbiamo visto finora ci sembra tutto fuorché mainstream, quindi, in fondo, non siamo molto lontani da casa…Abbiamo assecondato la nostra natura comunicando libertà in libertà affrontando temi cari a Paz e a tutta la Traumfabrik. Abbiamo ingabbiato droga, sesso e chiesa nelle nostre barre. Per chiudere, ci ricongiungiamo all’inizio di questa intervista con qualche rima di Lethal V: “[…]chino il capo e guardo i mattoncini/mi ritrovo per caso in Via Pier Paolo Pasolini/incontro amici tramortiti che hanno spliff e cartoncini/fuggono nel surreale con un trip e quattro tiri./Prendono confidenza come se li conoscessi/gioventù al patibolo quest’è ciò che dicono i vecchi/la gioventù non accetta compromessi/raramente apprezza la saggezza e le sue componenti.”».

Anagoor

Il ruolo del maestro è un tema decisamente sentito, soprattutto dato il sistematico cinismo delle istituzioni e del mondo reale nel distruggere il talento e la creatività, a favore di «chi sia dotato di insensibilità, di tenace indifferenza, di impermeabile mediocrità, di beata ignoranza, di mancanza di acume». Cosa direbbe oggi Socrate, quale sarebbe la sua posizione rispetto ai discepoli di un liceo che sempre più assomiglia a una fermata dell’autobus obbligatoria ed alienante sulla strada che conduce a una vita di produzione di valore (principalmente aggiunto e tassabile) e consumo?

Simone Derai: «Direbbe che c’è bisogno di prendersi cura di se stessi e di prepararsi, se si vuole affrontare un mondo simile. Direbbe che è insieme che dobbiamo trovare il modo in cui si diventa migliori il più possibile. Ciò che affermava riguardo all’educazione non si applicava soltanto ai ragazzi, ma a tutti, lui compreso. Abbiamo bisogno di studio, o, meglio, tutti gli uomini ne hanno bisogno. Direbbe anche che non bisogna desistere, né cedere alle debolezze. E che è quello della scuola il tempo giusto per accorgersi di questa necessità e iniziare. Se, infatti, uno se ne accorge a cinquant’anni, gli sarà difficile prendersi cura di se stesso.

«Stiamo accumulando un ritardo colpevole. Serve che si levi un pensiero alto e articolato attorno all’educare oggi, alla cura delle coscienze in formazione. Un pensiero che rilevi la stretta connessione tra processo della conoscenza e ricerca della giustizia, tra strumenti del conoscere (che è riconoscere e saper distinguere la verità dall’opinione) e pratica politica». Come rimediare all’Io scucito di un adolescente pronto a prendere in mano un’arma per esprimere se stesso (evento in crescita esponenziale da Columbine a oggi, proprio per la mancanza di questo discorso educativo)?

SD: «Questa condizione non va confusa con la ribellione adolescente, che è anche sana e auspicabile. L’adolescente che si arma non lo fa per esprimere se stesso, ma per sopprimere e annientare ogni espressione, compresa quella di sé. A questa volontà di annientamento non c’è rimedio o rammendo possibile. Questa voragine non dipende tanto dal sistema educativo, quanto dalla mancanza di una risposta a una domanda di senso esistenziale, una domanda che resta colpevolmente inascoltata da parte dell’intera società».

Tra i temi de Socrate il Sopravvissuto troviamo la responsabilità dei maestri, che si gravano dell’onere di curare un’eredità ma che sembrano presto scivolare nella routine istituzionale, perdendo così di vista il loro compito di educare i cittadini del domani, rigurgitando la stessa narrazione sicura e indiscutibile della storia e della filosofia e trucidando qualsiasi germoglio di senso critico. In che modo è possibile divenire Platone, se lo stesso Socrate ha smarrito la via?

SD: «Perdere l’orientamento è un rischio possibile. Ma lo spettacolo come il libro di Scurati non punta il dito contro i limiti oggettivi del sistema scolastico. Non vengono rintracciate le cause della caduta del maestro nei gangli della routine professionale e delle imposizioni ministeriali. O per lo meno non solo. La posizione tragica occupata dal maestro è quella di un adulto che può aver visto i propri sogni infrangersi e che pure sente la necessità di nutrire quelli dei suoi ragazzi; un adulto che ha di fronte un gruppo, una classe apparentemente omogenea, uniforme, ma che sente la responsabilità (e la difficoltà) di dover raggiungere ciascun individuo; un adulto che pur di condurre i propri ragazzi lungo la strada della ricerca della verità è pronto a indossare una maschera e ad andare in scena. Sotto questo aspetto l’insegnante diventa un titano che lotta contro il paradosso e contro i propri limiti, un gigante che si erge contro i propri fallimenti».

La figura pedagogica e morale di Socrate, in realtà, è tutt’altro che pacificata e pacificante, soprattutto quando reiterata in maniera pedissequa, istituzionale, e senza un reale approccio critico al personaggio. Nietzsche lo definì «il pulcinella che si fece prendere sul serio» e riconobbe, come anche in Platone, i «sintomi di decadenza» e gli «strumenti della decomposizione», giungendo a un giudizio severissimo proprio sulla sua attività educativa basata su ironia e dialettica: «il caso di Socrate fu un malinteso; tutta la morale di perfezionamento, compresa la morale cristiana, fu un malinteso» (L’origine della Tragedia). Ammesso che vi siate posti la questione, su quali testi avete pensato il vostro Socrate e come avete lavorato per evitare di renderlo un semplice modello ideale (dunque irreale)?

SD: «Nietzsche era fuori strada. Sosteneva che Socrate avesse ammazzato la tragedia, introducendovi un principio di razionalità, ma la tragedia non è il momento pre-filosofico, la festa dell’irrazionale di fronte al dolore dell’esistenza e la fase di trasformazione del mito coincidente con il suo decadimento. Fin da subito, fin da Eschilo, la tragedia fu una sorta di palestra di pratica del pensiero, uno degli alvei della nascente filosofia, un luogo in cui osservare una teoria di oggetti e per assumere da questi una determinata distanza, per guardare e riflettere, senza perdere di vista il sentire, il pathein, primo allenamento della coscienza, e una ricerca di riparo e rimedio all’angoscia generata dal dolore.

Si sostiene che Socrate avesse collaborato con Euripide alla stesura di alcune tragedie. Quel momento, se dovessimo dar retta a Nietzsche, coinciderebbe con il declino della tragedia, ma era Atene a essere in rapida trasformazione. In poche decine di anni la città era radicalmente mutata. Credo che Socrate avesse percepito l’importanza di procedere con ciò che il laboratorio aperto del teatro aveva scatenato. Si trattava di prendere il teatro e portarlo fuori, nella piazza, obbligare il singolo cittadino a uscire dal coro ed assumersi il rischio e la responsabilità del dialogo, allenarsi al confronto con l’altro. La morte di Socrate per ordine del consiglio rivela che la tragedia non solo non era morta, ma era esplosa all’esterno del teatro e aveva invaso la città».

Programma B.Motion – Focus Anagoor e F.lli Dalla Via/Gold Leaves

28 Agosto 2017
ore 21.00 – CSC Garage Nardini, Bassano del Grappa
SOCRATE IL SOPRAVVISSUTO, come le foglie
di Anagoor

30 Agosto 2017
ore 21.00 – Teatro Remondini, Bassano del Grappa
PERSONALE POLITICO PENTOTHAL
di F.lli Dalla Via e Gold Leaves