Il freddo perpetuo e violento di Plini

Doppio sguardo, del regista e della spettatrice, per inquadrare la versione firmata da Marco Plini di Freddo, in questi giorni in scena al Teatro Elfo Puccini. Un Lars Norén tra birra, teste rasate e jeans, per raccontare i mali che nutrono il razzismo.

Dal punto di vista del regista:

All’interno di un parco giochi immerso in uno spazio bianco – dove nessuno può uscire o entrare – si sviluppa la storia di Freddo, testo di Lars Norén per la regia di Marco Plini.

Protagonisti della pièce tre giovani ragazzi che si ritrovano per festeggiare, tra birre e cori nazisti, la chiusura dell’anno scolastico. Sin da subito è evidente che per i ragazzi la scelta del luogo non è casuale e che sono in attesa dell’arrivo di qualcuno: Kalle, un loro compagno di classe di origini coreane sul quale i tre ragazzi riverseranno tutta la loro rabbia, in un’escalation di violenza che si concluderà con una tragedia, preannunciata fin dalle prime battute.

Sapiente la scelta della scenografia: uno spazio concreto come quello di un parco giochi, ma impregnato di simbolismo, dove i tre protagonisti tentano di darsi arie da duri tra corde, praticabili e giostre come a sottolineare che, nonostante tutto, i tre ragazzi rimangono pur sempre tali e che non fanno altro che ripetere frasi sentite da altri senza conoscerne realmente il significato. Il loro vero nemico non è il diverso, ma è l’odio con cui cercano di riempire le loro identità ancora non formate.

Ed è in questa situazione d’ignoranza – in cui versano i ragazzi – che subentra Kalle, il quale tenta inutilmente di far ragionare i tre giovani attraverso la dialettica, spiegando cosa voglia dire essere realmente svedesi e, allo stesso tempo, immigrati. Ma con il delirio – soprattutto quando è capriccioso – non si può trovare un contraddittorio e così, alle parole di Kalle, si risponde con le urla e con i pugni. E qui si nota ciò che, nel corso dello spettacolo, convince meno: se da una parte abbiamo Keith, Ismael e Anders – i tre giovani nazionalisti – sin dalle prime battute già troppo carichi e caldi, tanto che all’entrata di Kalle manca lo scatto per far crescere le dinamiche all’interno del gruppo; di contro Kalle – interpretato da Alessandro Lussiana – non riesce mai a fronteggiare i compagni, venendo immediatamente schiacciato dalla loro presenza e forza. Ed è così che il contraddittorio, di cui si scriveva, è già perso in partenza e non si ha mai una vera e propria lotta o una crescita emotiva.

Interessante, invece, la decisione di Plini di far concludere lo spettacolo nello stesso modo in cui è iniziato: con i tre nazionalisti nelle medesime posizioni, all’interno di questo spazio, sospeso tra pareti bianche, del parco giochi – dove però qualcosa è cambiato. Un corpo senza vita giace nell’indifferenza totale, perché l’indifferenza è la violenza peggiore della nostra società odierna.

Quasi totalmente assente la musica, se non in momenti ben precisi, con un acuto sottofondo elettronico che cresce d’intensità e tende l’aria del parco giochi alimentando l’odio, la frustrazione, la fragilità e le dinamiche presenti nel gruppo.

Marco Plini, attraverso Freddo, sembra volerci mettere in guardia sulle possibili cause del razzismo: ignoranza, disoccupazione, povertà e il populismo propugnato da una classe pronta a manipolare i problemi reali per trasformarli in paure, mentre l’altro si trasforma impercettibilmente in untore – contro il quale riversare tutte le colpe della società.

…e dal punto di vista dello spettatore:

La caratterizzazione dei personaggi è molto forte e ben studiata – dimostrando un buon lavoro registico e attorale. Purtroppo non possiamo esimerci dal notare che non tutti gli interpreti sono all’altezza del ruolo e, questo, fa sì che lo spettacolo appaia, a volte, squilibrato – non solo dal punto di vista puramente interpretativo, ma anche nel confronto tra nazionalisti e democratici.

Uno spettacolo, comunque, molto attuale e, senza dubbio, di grande interesse. L’argomento, seppur noto e dibattuto anche in altri ambiti, è comunque sempre ben accetto – nonostante la difficoltà di renderlo originale fosse alquanto oggettiva.

Freddo, infatti, raccontaun fatto di cronaca vera che non è solo spaccato di vita quotidiana e orribile azione violenta che si scaglia contro chi è diverso – dal punto di vista dei carnefici – ma è anche esempio di inciviltà, frustrazione e mancanza di aspettative nei confronti del futuro. Se pensiamo, infatti, che a commettere l’atroce delitto sono tre ragazzi di sedici anni infarciti di ideali nazionalisti dei quali, probabilmente, non capiscono neppure bene il significato, ci rendiamo conto che la critica va alla modernità, alle istituzioni latitanti e che non sono in grado di indicare una via alternativa. Lo sfogo delle proprie frustrazioni – più che l’essere fedeli a un ideale – rivela un sostrato culturale che rimanda all’istituzione famiglia, causa scatenante di tutta una serie di eventi che culminano in una tragedia. Un omicidio inevitabile, in fondo, più che volontario.

La cosa che lascia sbigottiti è il finale – in cui crediamo stia, in sostanza, tutto il messaggio dello spettacolo. Non è tanto l’assassinio a essere visto come il momento culminante della tensione che, a poco a poco, cresce in scena, ma l’indifferenza a esso, ben sottolineata da spot televisivi che paiono prendere il sopravvento fino a farlo dimenticare in pochi istanti. Un vero e proprio fallimento della democrazia occidentale e una denuncia nei confronti di chi ha perduto ogni valore e che fa del diverso il capro espiatorio di ogni paura.

Lo spettacolo continua:
Elfo Puccini
c.so Buenos Aires, 33 – Milano
fino a domenica 4 dicembre
orari: da martedì a sabato, ore 21.00 – domenica, ore 16.00
Freddo
di Lars Norén
traduzione Annuska Palme Sanavio
regia Marco Plini
assistente alla regia The Dellavalle
con Angelo Di Genio, Michele Di Giacomo, Alessandro Lussiana e Federico Manfredi
scene e costumi Claudia Calvaresi
luci Robert John Resteghini
suono Franco Visioli