Idealista con Spirito

Impresa ardua, per un adolescente degli anni Sessanta, coniugare l’ideologia comunista con la fede cattolica. Il compromesso tra «bene e buono» impone una scelta e quindi una rinuncia, o forse no?

Entrambe le dottrine si prodigano nell’apologia del povero e si scagliano contro la corruzione del denaro. «Guai a voi ricchi» è il monito tratto dal vangelo di Luca che ben si presta alle lotte operaie. La condivisione e una più equa spartizione dei beni erano gli assiomi dei governi sovietici, una minaccia per il capitalismo, ideali che si discostano appena dalle riflessioni di Sant’Agostino e di San Basilio. D’altronde, «è più facile che una gomèna passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli» predicava Gesù Cristo, assassinato dal popolo in quanto ribelle, com’è accaduto ai moderni guerriglieri. L’intenso monologo andato in scena al Cometa Off di Roma, all’interno della rassegna LET – Liberi Esperimenti Teatrali, giunto alla sua ottava edizione, si compone a partire da questo intreccio. L’intento non è proselitismo, bensì la necessità dell’autore di condividere una genuina convinzione, risultato di studi approfonditi e riflessioni.
Giovanni Scifoni, le mani incrociate dietro la schiena, fa gli onori di casa, dal palco augura il benvenuto ai suoi ospiti. In molti hanno accolto il suo personalissimo invito ad assistere a questo spettacolo da lui scritto e diretto, che nel 2011 ha ricevuto il premio I Teatri del Sacro. In diffusione, le voci registrate di giovani ragazzi degli istituti romani, funamboliche riflessioni su Dio e Marx, associati a Rivoluzione Francese e Robin Hood. Quando ogni posto disponibile è stato occupato, Scifoni compie un primo passo in avanti e in un attimo luci e silenzio si concentrano su di lui. Il carismatico attore al centro di una scena vuota diventa Francesco, segaligno, la chioma disciplinata in una scriminatura laterale. Sembra un intellettuale di sinistra, vestito com’è con la camicia a quadri, pantaloni di velluto marrone e gilet rosso mattone, oppure è il classico venditore di bibbie, in effetti un libro in mano lo tiene. Francesco bussa alla porta di uno sconosciuto e, con il suo accento rustico da pastore settentrionale, propone il libro che lo ha illuminato come una rivelazione verso il cammino della felicità: non si tratta della Bibbia, ma di Il Capitale di Marx. È il primo di una serie di sketch (congeniali anche in una terza serata televisiva, stile Rezza che fu) che si susseguono serrati. Un’aggressione verbale e insieme uno scoppio di movimenti sconnessi. Erompe un flusso di coscienza senza un preciso nesso, che però costruisce l’immagine dello sfondo culturale e cronologico, gli anni Sessanta, il decennio del Concilio Vaticano II che sancì la messa frontale non più in latino, accanto alle rivoluzioni civili, agli intellettuali laici che bramano il confronto in ogni ambito. La Chiesa e la Massa, come Scilla e Cariddi, tormentano le coscienze dei fedeli eppure, lungo questo stretto, spuntano le storie di piccoli eroi, storie di preti militanti come Don Enzo Mazzi (scomparso a ottobre), rimosso dal suo incarico di parroco dall’arcivescovo Ermenegildo Florit per aver espresso solidarietà ai contestatori cattolici che nel Sessantotto occuparono il Duomo di Parma. O come l’esperienza dei preti operai ispirati da Padre Michael Favreau. Storie che raramente capita di ascoltare, ma che calano l’alterigia papale o la divina santità in mezzo al sudore del popolo. Un popolo che lotta per migliorare la propria condizione sulla terra, prima della resurrezione eterna.
Scifoni, che torna a parlare di fede cattolica dopo Le ultime sette parole di Cristo (2009), è uno straordinario mattatore, cambia registro, dialetto, saltella sul palco, è solerte nel tendere il ritmo. Da un grosso sacco di tela gialla rovescia, in una nuvola di polvere, una serie di oggetti insulsi e nel corso dello spettacolo li carica di significato; due uova nascondono il senso universale del popolo eletto in attesa, un gioco da tavola, Lotta di Classe, rivela l’assurda ironia dell’indottrinamento politico e un fucile di legno mostra gli sconvolgenti retroscena di una ricerca spirituale e delle liste di martiri sudamericani. L’argomento è vasto, saliente e drammatico, eppure affrontato con misurata enfasi. L’attore sceglie di scollegare il senso del discorso rispetto a come esso viene enunciato. Ampi movimenti marionettistici chiosano approfondimenti teologici ed episodi violenti. Ai momenti comici risponde pronta una risata, mentre dai frangenti più drammatici scaturiscono una riflessione intima e un tiepido coinvolgimento emotivo. Tale dicotomia tra sostanza e forma fa certamente apprezzare il virtuosismo, ma disorienta anche e, talvolta, distrae da un testo comunque ricco di spunti. Ha la sua importanza oggi che gli integralismi mescolino le definizioni di fede e coraggio, che si ricordino le parole di Don Omar Arnulfo Romero e, attraverso la ballata Cruz de luz, la straordinaria figura di Don Camilo Torres, «morto per vivere».
Il pubblico è avvisato da subito, «inutile cercare il filo» del discorso, non c’è, eppure in qualche modo se ne resta irrimediabilmente catturati.

Lo spettacolo continua:
Teatro Cometa Off
via Luca della Robbia, 47 – Roma
fino a domenica 19 febbraio
orari: da martedì a domenica ore 20.45 e ore 22.30 (lunedì riposo)
(durata 1 ora e un quarto circa senza intervallo)

Guai a voi ricchi. Papà era cattocomunista
scritto, diretto e interpretato da Giovanni Scifoni