La Compagnia catalana El Conde de Torrefiel, guidata da Pablo Gisbert e Tanya Beyeler, apre il Danae Festival con lo spettacolo Guerrilla – al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano.

Quando si assiste a uno spettacolo de El Conde de Torrefiel non si può non provare un forte senso di disagio. Quanto avviene sulla scena ha un volto sereno, quasi rilassante, sempre esteticamente impeccabile. Ma quanto è raccontato, in voice off o con sottotitoli proiettati, è estremamente violento, perfino perverso e, nello stesso tempo, molto intimo, personale. Ma questa intimità appartiene a ciascuno di noi. Come fosse uno sguardo indiscreto sui nostri pensieri più peccaminosi e proibiti. Questo contrasto fa esplodere i significati e la potenza delle parole e delle immagini. Come la nostra civiltà si ammanta di una maschera umana e pacifica, nascondendo sotto il tappeto tutti gli aspetti meno edificanti del proprio operare, così quanto si vede e si sente entra in conflitto ed esplode con la violenza dello scontro tra due zolle tettoniche.
Guerrilla è un progetto che la Compagnia catalana porta avanti dal 2015. La prima volta che vidi Guerrilla era il 2015 al Festival TNT di Terrassa, in Catalunya. La versione di allora era per una persona sola; ma Tanya Beyeler, nell’intervista che mi dedicò, aveva già ben chiaro il percorso di sviluppo di queste azioni: estendere il progetto a un gran numero di persone. Questa versione milanese è, infatti, costruita con ottanta partecipanti reclutati tramite pubblica call in estate. Dalle interviste effettuate si sono montati i testi che mescolano fiction e verità documentarie con biografie veritiere o immaginarie.
Siamo in un periodo che va dal 2019 al 2023, anno in cui esploderà una guerra globale, che non sarà combattuta per ragioni religiose o ideologiche, ma semplicemente per difendere gli interessi economici del proprio Paese. Gli storici futuri la battezzeranno “la guerra onesta”. Dentro questa cornice si intrecciano le vite reali e immaginarie di alcuni protagonisti. Una conferenza, una lezione di Tai Chi, una notte di ballo sfrenato. E i personaggi che si sfiorano e intrecciano i loro pensieri mentre il mondo, lentamente e inesorabilmente, si avvicina al baratro.
I piccoli episodi proiettati raccontano disagi montanti, pensieri violenti, ricordi urticanti con il linguaggio secco e tagliente di un bisturi. Con durezza adamantina si snocciolano, come in un perverso rosario, pensieri di guerra e conflitto che accompagnano lo spettatore senza abbandonarlo mai. Come possiamo creare un mondo di pace se siamo condizionati a pensare in modo violento? La pace non è forse contraria alla natura umana? Non siamo, come specie, nati nel sangue, e in maniera volontaria ci trasformiamo da prede a predatori? Domande scomode, che diventano ancora più pressanti perché non provengono da personaggi politici, capitani di industria o filosofi riconosciuti – ma sono questioni che sorgono nell’animo di ognuno di noi.
Questa specularità tra scena e platea è chiara fin dal primo istante. Sulla scena, solo sedie vuote – cosi come in sala. E man mano che questa si riempie, mentre il pubblico si accomoda e chiacchiera del più e del meno in attesa dell’inizio, quelle sedie vuote ci guardano. Così inizia lo spettacolo, replicando quanto appena successo: le sedie si riempiono, i performer chiacchierano, si salutano, sfogliano i programmi di sala. Platea e palco sono la stessa realtà, quello che avviene in loro è in noi, e la scena è specchio della comunità/pubblico.
I racconti dilatati in tre scene si snodano e si intrecciano con le immagini e si prova forte disagio. In quegli episodi c’è una parte di noi, e quello che ascoltiamo non ci piace per nulla. L’uomo che appare non è minimamente somigliante al grande miracolo di Pico della Mirandola; si tratteggia un essere gretto, piccolo, misero, sperduto e impaurito in una vita selvaggia e priva di significato – che non ha nessuna speranza di comprendere.
La guerra è inevitabile perché ogni nostra più piccola azione è rivolta verso la violenza, e questo accumulo non può che portare a una deflagrazione totale. Non c’è speranza di miglioramento.
Questo forse è il principale difetto dello spettacolo. Nonostante un’impeccabile opera di montaggio e composizione di testo, suono e immagine, si presenta una visione monodimensionale che non lascia spazio a nessuna alternativa. Non esiste speranza, non esiste opera volta verso un destino differente. Non sto parlando di lieto fine, o di immagini falsamente consolatorie, mi riferisco a quello che Calvino afferma alla fine de Le città invisibili: la vita è un inferno a cui possiamo abituarci e adeguarci oppure possiamo adoperarci per dare spazio e luce a ciò che, nell’inferno, inferno non è. In Guerrilla c’è spazio solo per l’inferno, quasi in una sorta di autocompiacimento, di voluttà del male. Certo si presenta il mondo così com’è, senza giudizio, senza presa di posizione, ma si sceglie di presentare solo un lato della questione. Il vero salto di qualità di questa Compagnia, così dirompente e talentuosa, sarà nel momento in cui il mondo sarà finalmente ricomposto in tutte le sue sfaccettature. I pezzi del mosaico che si costruisce in scena proverranno da tutti gli aspetti dell’umano, e sarà ricucito il mantello di Arlecchino.

Per approfondimenti:

EL CONDE DE TORREFIEL

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro dell’Arte della Triennale di Milano

Palazzo della Triennale
viale Alemagna, 6 20121 Milano

giovedì 14 e venerdì 15 settembre
Guerrilla
ideazione El Conde de Torrefiel
regia e drammaturgia Tanya Beyeler e Gisbert
testo Pablo Gisbert, in collaborazione con gli 80 volontari di Milano
assistente Nicolas Chevallier
disegno luci Ana Rovira
scenografia Blanca Añón
suono Adolfo García
stage manager Isaac Torres
assistenza alla coreografia Amaranta Velarde
musica Pink Elephant on Parade, Salacot
performer Amaranta Velarde e gli 80 volontari di Milano
coproduzione Kunstenfestivaldesarts, steirischer herbst Festival e Noorderzon Festival
con il sostegno di progetto europeo NXTSTP e il supporto di Graner, Centre de creació Barcelona, ICEC – Generalitat de Catalunya, INAEM, Ministerio de Cultura de España, Institut Ramón Llull