HAMM-LET, ovvero storia di un dramma senza fine e senza tempo

galleria toledo napoli

HAMM-LET / Studio sulla Voracità ripropone, nell’anno shakespeariano, il più grande dramma di tutti i tempi con un’attenzione intensa e puntuale alla sua attualizzazione.

A quattrocento anni esatti dalla morte di Shakespeare e quattrocentoquattordici anni dalla composizione di una delle opere drammaturgiche più conosciute al mondo, passata alla storia nella semplicistica e limitante affermazione dell’ “Essere o non Essere”, Amleto è di nuovo in scena e ha ancora tanto da dire.

Si chiama HAMM-LET / Studio sulla Voracità, lo spettacolo teatrale della Piccola Compagnia della Magnolia di Torino che è stato in scena alla Galleria Toledo di Napoli fino al 16 aprile e il cui debutto risale al 2011 al Festival delle Colline Torinesi.

HAMM-LET, ovvero la storia del Principe di Danimarca più famoso di sempre, del suo rapporto viscerale e malato con la madre Gertrude (complice dell’assassinio del padre), dell’amore vorace, quasi bestiale con Ofelia che conduce, infine, la giovane donna al suicidio (significativa, prima di uccidersi, è la sua affermazione: «a questo gioco non gioco più, mi ha reso pazza»).

Un dramma d’amore e di lussuria dunque, ma anche di vendetta: la disperazione di Amleto nasce dalla promessa fatta al fantasma di suo padre di vendicarne la morte avvenuta per mano del fratello, nonché suo zio e nuovo sposo della madre; il quadro è emblematico, al principe è chiesto non soltanto di essere o non essere, ma di agire, sposare l’odio e partorire la vendetta.

Come tutto questo possa ancora parlare agli uomini del ventunesimo secolo è di semplice intuizione; Amleto odia e ama con l’accanimento e la voracità di chi -ferito- cerca di ferire gli altri. Il suo dolore è uguale a qualsiasi altro dolore vissuto in una qualsiasi altra epoca, i suoi sentimenti sono attuali perché umani. «Guardati da chi ha sofferto troppo perché è sempre il più crudele», questa una delle battute di Gertrude che ben rappresenta l’hic et nunc della pièce.

Gli attori della Piccola Compagnia della Magnolia sono superbi e rigorosi nella rappresentazione del dramma; perfetti sono la gestualità, l’espressione facciale, il timbro della voce, i movimenti vorticosi. La messa in scena esplica tutta la sua potenza attraverso i corpi degli attori: corpi prepotenti, nevrotici, irriverenti, impertinenti, immorali, rabbiosi, iracondi, sudati, corpi vivi, di una vita che distrugge e che conduce – come unico epilogo possibile – alla morte.

L’attualizzazione del dramma – che ammorbidisce la pomposità e la prosopopea dei dialoghi – avviene attraverso vari elementi tra cui, ad esempio, quello musicale, dal momento che le musiche scelte (da Rita Pavone a Mia Martini) appartengono all’epoca contemporanea, e quello scenografico al cui proposito risulta molto interessante la scena della morte di Ofelia (che nel dramma shakespeariano avveniva attraverso un annegamento nel lago) e che qui viene riprodotta attraverso l’immagine di infinite bottiglie di plastica riempite di acqua e dotate di un led luminoso che rotolano su tutto il palcoscenico e rimandano – da un punto di vista iconografico – all’arte contemporanea.

La scena finale della morte di Amleto è cinematografica: Amleto si toglie la vita pochi istanti prima dell’arrivo di sua madre a cui – una volta compreso l’estremo gesto filiale – non resta altro che mangiare – con foga e grottesca drammaticità – la colazione che aveva portato per lui sulle note di una intensa Mia Martini che ricorda allo spettatore quanto la gente è strana, prima si odia e poi si ama.

Un finale che toglie il fiato e regala attimi di immortalità; tornano alla mente La Dolce Vita di Fellini e La Grande Bellezza di Sorrentino.

Potenza della storia, degli attori, della musica.

Gli artisti raccolgono, così, i meritati applausi e accompagnano gli spettatori fino alla porta laddove li avevano già accolti a inizio spettacolo.

Si può a buon ragione concludere che nell’anno shakespeariano l’autore inglese più grande di tutti i tempi viene onorato come merita.

«Essere o non essere, questo è il problema. È forse più nobile soffrire, nell’intimo del proprio spirito, le pietre e i dardi scagliati dall’oltraggiosa fortuna, o imbracciar l’armi, invece, contro il mare delle afflizioni, e combattendo contro di esse metter loro una fine? Morire per dormire. Nient’altro. E con quel sonno poter calmare i dolorosi battiti del cuore, e le mille offese naturali di cui è erede la carne! Quest’è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire per dormire. Dormire, forse sognare. È proprio qui l’ostacolo; perché in quel sonno di morte, tutti i sogni che possan sopraggiungere quando noi ci siamo liberati dal tumulto, dal viluppo di questa vita mortale, dovranno indurci a riflettere. È proprio questo scrupolo a dare alla sventura una vita così lunga! Perché, chi sarebbe capace di sopportare le frustate e le irrisioni del secolo, i torti dell’oppressore, gli oltraggi dei superbi, le sofferenze dell’amore non corrisposto, gli indugi della legge, l’insolenza dei potenti e lo scherno che il merito paziente riceve dagli indegni, se potesse egli stesso dare a se stesso la propria quietanza con un nudo pugnale?».

Amleto, Shakespeare

Lo spettacolo è andato in scena
Galleria Toledo
Via Concezione a Montecalvario, 34, Napoli
fino a sabato 16 aprile

Piccola Compagnia della Magnolia presenta
HAMM-LET / Studio sulla Voracità
con Giorgia Cerruti, Federica Carra, Davide Giglio
elaborazione e regia Giorgia Cerruti
musiche di Nyman, Armstrong, Morin, Transiberian Orchestra, Portishead, Rita Pavone, Mia Martini
realizzazione scenografia e costumi Claudia Martore, Alessandro Di Blasi – Atelier PCM
disegno luci Riccardo Polignieri
effetti sonori G.u.p.
grafica Sgorlon
foto di scena e video Alessandro Mattiolo