La vita è tutta un kitsch!

Con sfolgorante pathos partenopeo, Iaia Forte si traveste da cantante melodico tornando a interpretare Tony Pagoda, protagonista di Hanno tutti ragione, dal romanzo di Paolo Sorrentino. Stavolta sulle scene del Piccolo Eliseo.

Tony Pagoda è il prototipo del trash. Eccolo sul palcoscenico con la sua cravatta nera, la sua camicia di seta rossa, in aggiunta una giacca sbrilluccicante di paillettes, pronto a incominciare il suo sospirato concerto a New York, coronamento fatidico d’una carriera eccentrica e malfamata. L’occasione promette, forse, la svolta: s’attende, infatti, la venuta dell’icona italo-americana per eccellenza, Frank Sinatra. ll suo arrivo delude, come prevedibile (Sinatra apparirà «rosso come un contadino abruzzese»), ma ci vuol ben altro per scomporre un Pagoda! Tony è a suo modo un outsider, uno che recita se stesso, e anche bene, con piena convinzione, un pupazzo che ben incassa i colpi, volendo. Ad accompagnarlo alcuni musicisti che non vediamo, ma che lo stesso Pagoda ci descrive come giovani capaci di accontentarsi di bevute a base di birrette in un bar buio. Gente che non possiede la sua grandeur dunque, perché Pagoda non è semplicemente rozzo o tracotante come un miles gloriosus metropolitano: Tony Pagoda è lo spirito meridionale della dissolutezza finto-dionisiaca – col passare del tempo per lui sempre più fuori luogo – eretta a sistema di contro-valori, spinta fino all’autogiustificazione perenne, virante in leggenda, all’autoesaltazione impunita e godereccia, in uno scialo divorante di scetticismo travestito, come la protagonista, da sardonica e quasi affettuosa permissività postmoderna.
Il romanzo di Sorrentino è in verità un romanzo d’azione: al contrario del protagonista de La grande bellezza, dissacrante ma immoto, Tony passa da un’avventura all’altra, si fa prendere nonostante tutto dalla vita, maturando su ogni cosa un suo pensiero non debole, ma debolissimo, una sua decostruzione derridiana vocazionalmente cinica, ma senza rabbia, senza estremizzazioni, anzi disinvoltissima, poiché ancora anelante alla gioia.
Ogni soddisfazione si riduce alla fine al debordare pantagruelico di una facile carnalità, all’eccesso vizioso. E il corpo morbido e femminile dell’attrice lo sottolinea di continuo, visto che in fondo in Pagoda tutto è vitale perché ciò che conta è represso: la voce si disfa, la sensualità si cerebralizza in racconto a luci rosse, che poi di osceno ha solo la resa dei conti davanti a prostitute, al contrario del nostro protagonista, davvero incattivite e spregiudicate. Ma nemmeno la sconfitta esibita, esuberante, ha il benché minimo potere, per parafrasare ancora Pagoda, di spaccare il cuore incallito d’un serial killer svedese! Pagoda impara dalla vita a modo suo, con lentezza olimpionica.
Intanto si consola coi suoi mezzi. La coca? Che fraintendimento! Non ti allontana bensì ti riporta a te stesso, anche se quel te stesso non ti piace, come Iaia-Tony è costretto ad ammettere fin dall’inizio, davanti a una scenografia scarnissima, dove il nome del cantante brilla di lucine da giostra come le insegne dei teatri di Broadway, e per cui l’intercalare di sottofondo, tra una canzone nostalgica e l’altra, non può che essere l’usuratissimo yeah.
«La distrazione è la più importante invenzione per fingere di essere quello che non siamo: accettati dal mondo» dice Pagoda. Poi esalta la stanchezza. Perché solo la stanchezza rende liberi. È l’unica cosa che ti permette di dire di no, e in un’epoca di nichilismo sfrenato, essere liberi si riduce a dire di no.
Cosa ci salverà? «Il successo sta sul cesso» sbraita Pagoda, persino l’amore è un’illusione: Tony insegue una Beatrice che lo sdegna, consolandosi intanto con farmaciste che sniffano coca, scrittrici “di seconda fascia”, studentesse di ragioneria, “ma anche del classico”, chiosa subito, vegetariane che lo obnubilano d’incenso, mentre l’Eterno Femminino si sdoppia per lui crudamente nella terribile moglie, ormai oggetto d’arredamento domestico, e nella valletta- ballerina Noemi (Francesca Montanino), ennesimo svilimento del corpo femminile impacciato in una pantomima grottesca anelante al trendy.
Si ride, è vero, è bravissima Iaia Forte nel rendere le ambiguità sofferte di un personaggio che vuol essere personaggio a tutti i costi, che anzi del suo essere personaggio ha fatto una strategia di sopravvivenza definitiva, paradossalmente consapevole della sua intima incongruità, del fallimento in agguato per chiunque.
Chi ha inventato, del resto, la vita? «Un sadico fatto di coca tagliata malissimo».
E allora, ci rendiamo disastrosamente conto, donne e uomini – in questo il travestimento sopra le righe di Iaia diventa illuminante – che siamo tutti Tony Pagoda.
Siamo parodie, travestimenti ambulanti grondanti un dolore così universale e banalizzato da sconfinare nel kitsch.
Meglio sorriderne con un minimo di consapevolezza: strapparsi i capelli, se si ha una chioma audacemente cotonata come quella di Tony, sarebbe davvero uno spreco.

Lo spettacolo è andato in scena:
Piccolo Eliseo

via Nazionale 183, Roma
fino al 1 novembre
orari ore 20.00 – domenica ore 16.00

Hanno tutti ragione
di Paolo Sorrentino
regia Iaia Forte
aiuto regia Carlotta Corradi
con Iaia Forte, Francesca Montanino
musiche e canzoni Pasquale Catalano e Peppino Di Capri
esecuzione Fabrizio Romano
elementi scenici Marina Schindler e Katia Titolo
luci Paolo Meglio
produzione Casanova Teatro
in collaborazione con Pierfrancesco Pisani, Offrome