Handke à la manière de Maeterlinck

I bei giorni di Aranjuez di Peter Handke nella lettura scenica di Giovanna Daddi e Dario Marconcini. Una sfida che si rinnova nel drame statique.

Nel 1890 Maurice Maeterlinck firma I ciechi: l’uomo non può più agire di fronte alla morte, può solo prenderne coscienza. La crisi della tragedia è ormai consumata, l’essere moderno è diventato impotente di fronte al destino, può solo sedersi e attendere – in un limbo che non è ancora inferno ma nemmeno paradiso – il compiersi di un ciclo vano.

Al Francesco di Bartolo di Buti, Daddi e Marconcini fanno i conti con un testo che nemmeno Wim Wenders ha saputo tradurre in immagini – complice il fatto, forse, che il pubblico non è più abituato alle Scene da un matrimonio. E lo ambientano in un non-luogo che richiama, sì, il giardino estivo del testo originale, nei suoi colori caldi, nello sfondo di un giallo solare, nei rumori della vita campestre di sottofondo, nel profilo della Daddi che rimanda a L’Arlesiana (Madame Giroux, Arles, 1888) di Van Gogh, ma che pare sospeso nel tempo e nello spazio. Un limbo di irrealtà che sarà stravolto, nel finale, proprio dall’incursione della realtà, con il suo carico di malattie, disperazione, guerre e la finale presa di coscienza dell’ineluttabilità della morte.
In questo non-luogo un uomo e una donna si incontrano e, come nei drame statique di Maeterlinck, il dialogo che ne scaturisce si sfilaccia nel tempo, sdoppiandosi in battute parallele o mostrando come ogni individuo, alla fine, segua la propria linea di pensiero ignorando del tutto l’altro. Se siamo soli nella morte, sembra che anche nella vita l’incomunicabilità di bergmaniana memoria ritorni ossessivamente. E solo la donna, nella sua inclusività, può riuscire ad aprirsi totalmente, in delicato equilibrio tra ricordi – veri o fantasticati, propri o altrui – e rivendicazioni storiche comuni a quella metà del cielo che solo alla fine degli anni 60 ha cominciato a rivendicare il proprio diritto al piacere.

Lo spettacolo, al momento una lettura scenica, potrebbe trovare proprio nella dicotomia ricordo personale (fattore emozionale) e ricordo collettivo (fattore teorico) la propria linea guida per la messinscena finale. Un equilibrio tra possibilità di rappresentazione (nei monologhi di Daddi) e impossibilità di rappresentazione (nelle letture del copione di un interlocutore che, nelle proprie domande, passa dal ruolo del forse amante/amato, immedesimato nella parte, a quello del regista che sollecita e pungola, blandisce e mortifica la sua attrice perché riviva la scena per poterla interpretare, nella migliore tradizione à la Stanislavskij).

Un doppio binario, teatrale e metateatrale, che sarebbe perfettamente in sintonia con le note di copertina del testo, definito come una sfida “a qualsiasi possibilità di rappresentazione”.
Attendiamo gli sviluppi.

Lo spettacolo continua:
Teatro Francesco di Bartolo

via Fratelli Disperati – Buti (PI)
da giovedì 27 a sabato 29 aprile, ore 21.15

I bei giorni di Aranjuez
di Peter Handke
con Giovanna Daddi e Dario Marconcini
palcoscenico Riccardo Gargiulo e Maria Cristina Fresia
luci Riccardo Gargiulo
impianto sonoro Flavio Innocenti
produzione Associazione Teatro Buti