Aedi post-umanisti

I dissacrAttori del mito in scena al Rialto Sant’Ambrogio: il trio toscano racconta il mito classico e lo priva delle fondamenta a colpi di ironia, per una pièce complessa che permette molteplici piani di lettura.

Dall’Etruria in giù, fino alla Grecia, passando per Itaca. Il viaggio rocambolesco dentro la mitologia classica è una pallina su un piano che si inclina quando il sentimento agnostico e concreto dell’uomo etrusco comprende l’importanza di avere delle divinità in cui credere. Da lì, giù giù, a ritroso in una corsa contro il tempo che passa in rassegna tutta l’Iliade e poi a perdifiato ripercorre l’Odissea, si sofferma, sulle sirene, sulla curiosità di Ulisse, poi sull’amore di Meleagro per Atalanta, con sempre maggiore delicatezza estrae dal mito la scelta di eutanasia di Altea per il figlio pluriomicida. L’ultima tappa è Tebe. Finita la corsa, l’attenzione si ferma a lungo sul dialogo tragico tra Antigone e Creonte, tra le ragioni del cuore e la ragion di Stato. Alla fine del viaggio, il mito dissacrato ha lasciato posto all’uomo, non c’è più spazio per la fede. La responsabilità individuale dell’homo sui faber soffoca come una coltre pesante la leggerezza del racconto epico che non pesa, perché parla di qualcuno altro da noi, di qualcosa fuori da noi.

Il racconto di Silvia Frasson e Alessandro Waldergan, con le frecce avvelenate dell’ironia, spezza i nervi del sacro, fiaccando le gambe al gigante di pietra dell’intoccabile religiosità, per restituire all’uomo la paternità delle istanze che hanno spinto l’umanità al progresso: il diritto alla conoscenza, il diritto ad amare e a essere felici non sono concessioni divine, ma il frutto di una scelta deliberata, sofferta e realizzata dall’uomo stesso.

La cifra dissacrante della pièce è da ritrovarsi nella rottura di questo assunto ancestrale: “Ma quale volontà divina, ma quale fato, ma quale legge?” Sembra dire sorridendo Antigone, incarnazione dell’Uomo: “Siamo noi che decidiamo la vita che viviamo e a niente vale nascondersi dietro la legittimazione di un attore terzo che sempre noi abbiamo creato”.

La tecnica di recitazione è impeccabile: come in drammaturgici esercizi di stile di Queneau, i due attori danno prova di sapersi barcamenare nei più diversi stili narrativi senza perdere di tono. Gli inserti musicali di Naomi Berril suggellano come ceralacca il racconto recitato e infliggono un suadente colpo di grazia sul frammento di mito appena destrutturato. Le note pizzicate sul violoncello, insieme alla sottile voce penetrante che le cavalca, accompagnano gentilmente alla porta l’illusione oppiacea del popolo ormai polverizzata.

Tempi ben cadenzati, fatta eccezione per l’ultima parte, procustizzata per lasciare spazio alla piena espressione della tappa finale del viaggio.

In un momento di pericoloso disincanto generale, I dissacrAttori del mito suona come un richiamo sorridente e impietoso a chi sta per cedere alla tentazione di delegare fuori da sé ogni responsabilità, per abbandonarsi alla dolce culla della fatalità, della volontà divina, dell’ineluttabilità del “così vanno le cose, così devono andare”.

Un racconto che si legge su più livelli, come tutti i grandi racconti che si rispettino, per farsi capire da chi coglie la narrazione in superficie, da chi riesce a vedere il senso della storia, fino ad appagare chi cerca di rintracciare uno scopo più ambizioso nella narrazione. Nel complesso, I dissacrattori del mito, nella sua stratificazione, è un’opera capace di trasmettere con forza un messaggio complesso, che poteva essere concepita solo da chi ha interiorizzato a tal punto il teatro, da riuscire ad utilizzarlo come mezzo, non come fine.

Lo spettacolo è andato in scena
Rialto Sant’Ambrogio

Dal 27 al 30 ottobre 2014

I dissacrAttori del mito
di e con Silvia Frasson e Alessandro Waldergan
musiche eseguite in scena da Naomi Berrill
una produzione Fondazione Orizzonti d’Arte & Rialto Sant’Ambrogio