Nell’armonia della Natura, la Ragione è dissonante

Sul Teatro del Giglio di Lucca, I Masnadieri – della già affiatata Giovane Compagnia del Teatro di Roma – cantano la drammatica condizione dell’essere umano alla conquista della libertà.

Chi sono I Masnadieri portati in scena dalla rilettura che Lavia fa del capolavoro dell’allora ventenne esordiente Schiller?
Sono il simbolo – eterno e attuale – della ribellione all’ordine costituito, della tensione – struggente e totalizzante – verso una libertà assoluta, sono coscienza che impone il pindarico “divieni ciò che sei”, grido inattuale di (ri)appropriazione di se celebrato – a testimonianza della sua universalità – due secoli or sono anche dal filosofo Nieztsche.
Non importa dunque che essi siano i nobili fuorilegge proposti dal drammaturgo tedesco o i bad boys che ci regala il regista milanese nel caravaggiesco spettacolo di luci e ombre realizzato all’interno dell’essenziale – e funzionale – scenografia di Alessandro Camera, adattata al Teatro del Giglio e privata – per l’occasione – dei monumentali graffiti ammirati in precedenti rappresentazioni. L’unico elemento che può realmente identificarli rimane il dettaglio anagrafico: sono giovanissimi in cui “brucia, arde e freme” quel frenetico, insoddisfatto e “incontenibile” anelito e desiderio di autenticità, che poi il Romanticismo chiamò Streben.
L’opera prima di Schiller, anche nella sua rivisitazione in chiave moderna (su cui insiste la recente produzione di Lavia) ci mette di fronte a una demolizione – con dialettica pulsante e appagante – che nulla risparmia: critica assoluta di tutte le istituzioni («caramelle» tuona uno dei fratelli protagonisti) e contestazione senza appello (addirittura) del gesto originario della vita («semplici pruriti», risponde l’altro). I Masnadieri, accompagnati dal rock calzante – perfettamente a tema nell’assecondare la cupe atmosfera d’inquietudine della piéce – di Franco Mussida, urlano – più volte e con forza – «libertà o morte» perché sono esseri umani infinitamente inappagati dalla propria esistenza temporale, persone ansiose e assetate di trascendenza, in perenne tensione verso l’infinito, in continua ricerca della “rottura” (di ogni aderenza comportamentale imposta convenzionalmente dalle “regole”) e in incessante sfida al limite. Un’aspirazione, tuttavia, destinata inevitabilmente allo scacco e alla “scoperta” ineludibile della mortalità. Infatti, sia Franz – un Francesco Bonomo “mostruoso” nel rappresentare il cinico, materialista, avido di potere, invidioso figlio cadetto privato di tutto quello che la natura aveva riservato al fratello (bellezza d’animo e d’aspetto), barcollante solo per un momento di fronte alla possibilità della fede, arcigno nella consapevolezza che «tanto lassù non c’è nessuno» – che Karl – lo spirito luciferino conscio di aver superato il punto di non ritorno e di aver (de)formato irremediabilmente la propria anima, strappandola a quella purezza che lo aveva reso degno di amare ed essere amato, ben rappresentato, in particolar modo nelle parti da solista, da Simone Toni – sceglieranno la morte (della propria libertà, di conseguenza di sé) al buio, segnando idealmente il trapasso dall’ingenuo ottimismo della ragione (proprio dell’Illuminismo) al focoso lirismo dello Sturm und Drang. Proprio nell’assenza di lumi, splendono i due – a tratti epocali – monologhi conclusivi, nei quali l’esistenza consumata e ormai al termine dei protagonisti riesce a vibrare con incredibile trasporto e potenza empatica, giungendo al compimento della tragedia: il primo all’interno del proprio castello, ai piedi di quel trono tanto voluto ma fonte unicamente di incubi apocalittici (quindi “inutile” ai fini dei vagheggiati disegni di grandezza e amore di Franz); e il secondo, con una leggera variazione rispetto al testo originario (dove sopravvive) – dopo aver freddato padre e amata – all’aperto nella notte, stellata dai soli colpi di pistola sparati all’unisono dagli stessi compagni di (s)ventura, traditi dall’indecisione e dalla nostalgia di “normalità” – ormai perduta – del fu capitano.
Franz e Karl, nel loro comune ma opposto sentiero spezzato, rappresentano la lotta titanica che lacera e segna l’ambiguità della persona umana, conflitto interiore tra contrari (bene e male, fedeltà e ribellione, amore e odio) esasperato al punto da essere resi opposti anche a se stessi. La stessa libertà – motore delle azioni dei masnadieri e rifugio morale del diseredato e reietto Karl – rimane sfuggente e paradossale non tanto come concetto (sapere come/di essere libero), quanto come pratica (farsi libero). Presa la strada del «fare tutto quello che ci pare», versato il sangue di vecchi, donne e bambini, e solcato il proprio viso – simbolo fisico della corruzione dell’anima – con profonde cicatrici (al punto da rendersi irriconoscibile addirittura ad Amalia nella toccante scena dell’incontro quando veste i panni del finto conte Brand), Karl si renderà conto che non è possibile «essere liberi, commettendo atrocità» e sceglierà – con carità cristiana autentica quanto inaspettata, per lui che aveva ucciso un prete venuto a redimerlo, in una scena letteralmente da brividi – di consegnarsi alle autorità in modo da far riscattare la propria taglia a un lavoratore con prole numerosa.
Uno spettacolo riuscito, capace – nonostante una recitazione a tratti forzata – di tenere sempre alta la tensione e in grado di lasciar esperire concretamente la vitale e rivoluzionaria – ancora oggi – contraddittorietà “umana” dei briganti di Schiller.
Forse imperfetto, a tratti esasperato e impulsivo, sicuramente tempestoso e impetuoso. Come dire, un’esperienza viva – da cui farsi fisicamente “trasportare”, lasciando perdere le sbavature “concettuali” – dello Sturm und Drang.
«Un salto oltre il fosso» emozionante e drammaticamente convincente.

Leggi la recensione de I masnadieri di Cristina Gattamorta.

Lo spetttacolo è andato in scena:
Teatro del Giglio

piazza del Giglio, 13/15 – Lucca
venerdì 10 e sabato 11 febbraio, ore 21.00
domenica 12 febbraio, ore 16.30

Teatro di Roma, Teatro Stabile dell’Umbria, in collaborazione con la Versiliana Festival e l’Accademia di Costume di Moda di Roma presentano:
I Masnadieri
di Friedrich Schiller
regia Gabriele Lavia
con Gianni Giuliano, Simone Toni, Francesco Bonomo, Cristina Pasino, Marco Grossi, Filippo De Toro, Luca Mascolo, Fabio Casali, Giulio Pampiglione, Giovanni Prosperi, Alessandro Scaretti, Michele De Maria, Daniele Gonciaruk, Andrea Macaluso, Davide Gagliardini, Carlo Sciaccaluga, Luca Mannocci e Daniele Ciglia
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Franco Mussida
luci Simone De Angelis