La parola al teatro

Il discorso del Re di David Seidler rivive al teatro Quirino di Roma e arriverà in molti teatri d’Italia, con la traduzione, la regia e l’interpretazione di Luca Barbareschi, affiancato da uno straordinario Filippo Dini, nel ruolo che al cinema fu del premio Oscar Colin Firth.

«Il teatro dovrebbe essere sempre contemporaneo, non trattare necessariamente storie contemporanee, ma rifarsi ad esse», sono queste le parole orgogliose che pronuncia Luca Barbareschi, che ha curato la traduzione – e ne è regista, oltre che protagonista con Filippo Dini – dell’opera teatrale Il discorso del Re, in scena fino al 2 dicembre al teatro Quirino di Roma.
Il discorso del re (The King’s Speech) è ormai famoso in tutto il mondo per via dell’omonimo film di Tom Hooper con Colin Firth che ha dominato l’83esima edizione degli Academy Awards conquistando quattro Oscar vinti su dodici candidature nel 2011, oltre che dal regista e dall’attore protagonista, anche per la sceneggiatura originale di David Seidler, autore che, come il Re del film, ha avuto problemi di balbuzie da giovane.
Non volendo scrivere un testo autobiografico Seidler ha così pensato di scrivere di un Re, o meglio di un uomo che non aveva voglia di fare il Re, intuendo – e di conferme ne ha avute – che fosse una storia che avrebbe potuto interessare più persone.
«La mia opera – che vede in primo piano Re Giorgio VI, padre dell’attuale sovrana Elisabetta d’Inghilterra, e il rapporto con il logopedista Lionel Logue che lo ha in cura – tratta di vari temi» e quello sull’amicizia è quello al quale David Seidler – classe 1937 – tiene di più. A differenza del protagonista, infatti, non ha avuto al suo fianco un amico come Lionel per superare la sua difficoltà. «Io ho dovuto amare me stesso in primis», afferma e continua lo sceneggiatore, sottolineando la forza dell’amicizia che può scaturire tra due uomini, senza parlare di omosessualità, ma che si mette in gioco e punta in alto quando l’altro è in grado di dirti «Io ci sono, io ti ascolto, io posso aiutarti».
L’idea di lavorare con Seidler per Barbareschi è stata quasi empatica, poiché lo sceneggiatore lo aveva inserito nella top list dei produttori italiani. «Era lui a voler lavorare con me. Si è creato subito un allineamento creativo di affinità elettive; è stata una cosa naturale prendere i diritti dell’opera», con entusiasmo racconta il regista.
Testo altamente politico, narra in maniera esemplare cosa dovrebbe essere il senso del dovere, l’etica. Una coincidenza fortunata quella che vede in scena questo spettacolo in un momento in cui i cittadini italiani esprimono malcontento per i propri governanti.
Barbareschi parlando del personaggio che interpreta dice: «La storia umana che c’è dietro al contesto storico è quella che mi ha appassionato. Lui è un attore fallito con un grande cuore. Come diceva Spinoza la passione è più forte della ragione, e questo è uno spettacolo basato tutto sul fattore emotivo, è un giocare continuo con le emozioni, si alternano le grandi risate alla forte commozione».
Ed è proprio così. Il discorso del Re emoziona e fa sorridere allo stesso tempo, lasciando estasiati gli spettatori per la bravura di Luca Barbareschi, nelle vesti appunto del logopedista Lionel Logue e soprattutto per l’interpretazione complessa di Filippo Dini, che del suo personaggio parla così: «Berty (così è familiarmente denominato il timido e complessato duca di York) è stato un incontro singolare e importante, avere questo rapporto intimo con Giorgio VI è stato un privilegio. Egli si è trovato a dover risolvere un problema che nessuna delle sue fortune avrebbe potuto risolvere. Sembra la favola del brutto anatroccolo, che in fondo appartiene ad ognuno di noi».
Una favola reale in tutti i sensi, ambientata a Londra, tra gli anni Venti e Trenta, che vede Albert, balbuziente secondogenito di Re Giorgio V, marito orgoglioso di Elisabetta Bowes-Lyon, che si rivolge al logopedista australiano Lionel Logue, che adotta metodi anticonformisti che attingono al teatro e alla psicanalisi, per far curare il difetto di suo marito, dovendo parlare in pubblico toccando a lui la sorte del Regno, avendo suo fratello Edoardo abdicato per sposare Wallis Simpson, dopo la morte del padre.
Tra spezzoni di filmati originali che vedono il Führer primeggiare sullo scenario politico di quegli anni e una colonna sonora con alcune musiche di Cole Porter, le cui note escono da antiche radio presenti nelle buie stanze del palco, si muovono personaggi con costumi coerenti, come l’arcivescovo di Canterbury, Winston Churchill e il primo ministro Stanley Baldwin, rispettivamente interpretati da Roberto Mantovani, Ruggero Cara e Giancarlo Previati, a impreziosire la scena insieme alle due uniche figure femminili Astrid Meloni, l’elegante Duchessa di York e Chiara Claudi, la moglie australiana di Lionel, che insieme a Mauro Mastropietro, un perfetto Principe del Galles, ritroviamo riuniti nell’intensa scena finale del discorso, quando sudore e commozione imperlano la fronte di un più che convincente Giorgio VI.
Trionfa lo spettacolo, ma trionfa soprattutto la parola, essendo la pièce basata unicamente su di essa; in una delle scene più forti irrompe proprio una frase che sintetizza tutta l’opera: «Io ho il diritto di essere ascoltato».
Il teatro, quindi, come luogo di parola per eccellenza, fa dimenticare ogni trasposizione cinematografica, permettendo la concentrazione sull’avvicendamento visivo usando quei trucchi propri dello stesso rendendolo funzionale in tutti i sensi.

Lo spettacolo continua:
Teatro Quirino
via delle Vergini, 7 – Roma
fino a domenica 2 dicembre
orari: da martedì a sabato ore 20.45, domenica ore 16.45, giovedì 15, mercoledì 21 e mercoledì 28 novembre, sabato 1 dicembre ore 16.45
(durata 2 ore e mezza intervallo escluso)

Casanova Multimedia presenta
Il discorso del Re
di David Seidler
regia Luca Barbareschi
con Luca Barbareschi, Filippo Dini, Ruggero Cara, Chiara Claudi, Roberto Mantovani, Astrid Meloni, Mauro Santopietro, Giancarlo Previati
scene Massimiliano Nocente
costumi Andrea Viotti
luci Iuraj Saleri
musiche Marco Zurzolo