L’anacronismo del contemporaneo

Anton Čechov incontra Pëtr Il’ič Čajkovskij nell’ambiziosa versione de Il lago dei cigni ovvero Il canto secondo Fabrizio Monteverde e il Balletto di Roma.

Il lago dei cigni, nonostante sia ormai assunto al repertorio per eccellenza e sia unanimemente considerato un capolavoro del XIX secolo, fu una clamorosa débâcle al suo debutto al Bol’šoj di Mosca (1877). Il balletto musicato da Pëtr Il’ič Čajkovskij, infatti, giunse al meritato successo solo nel 1895, a quasi venti anni dal concepimento, grazie alle coreografie di Ivanov e di Petipa.

Con Il lago dei cigni ovvero Il canto, Fabrizio Monteverde ne propone un ambizioso e complicato riallestimento innestando, all’interno della celeberrima danza, la caratteristica cifra psicologica della narrazione cechoviana con l’esplicito riferimento a Il canto del cigno, testo forse poco rappresentato del maestro russo, ma fondamentale per la drammaturgia contemporanea.

Approssimando un tentativo di sincretismo tra questi due elementi, Il lago dei cigni ovvero Il canto volge, infatti, a interpretare in senso contemporaneo il classico canone coreografico attraverso la sovrapposizione con il testo cechoviano.

Quella che era «una favola senza lieto fine in cui i due amanti protagonisti, Siegfried e Odette, pagano con la vita la passione che li lega», diventa la parabola di «danzatori stanchi di un’immaginaria compagnia decaduta» che «si aggrapperanno ad un ultimo Lago, tra il ricordo sofferto di un’arte che travolge la vita e il tentativo estremo di rimandarne il finale». Nessuna disomogeneità, dunque, tra due racconti che convergono naturalmente nel restituire il «percorso struggente di illusioni e memoria» e il tragico destino che accomuna l’amore mancato e il tempo che scorre inesorabile.

Monteverde alleggerisce la coreografia da ogni virtuosismo e rende evidente la tarda età dei ballerini con maschere (in verità esteticamente discutibili) e la palese (nel primo atto, anche eccessiva) sporcatura di un gesto tersicoreo, la cui assenza di grazia trova solo a tratti il suggestivo e auspicato contrappunto nella proiezione delle danze canoniche sullo sfondo del palco, come nel caso del famosissimo Pas de quatre (la cosiddetta Danza dei cignetti).

La scelta di un’ambientazione povera, di abiti comuni, accatastati o lanciati in aria, richiama con efficacia la polemica degli Stracci di Pistoletto nei confronti di una società dei consumi in cui il valore delle persone è commisurato al livello di produttività, mentre la vestizione con i tradizionali tulle nel secondo atto accresce il senso di melancolia che circonda i protagonisti. Tuttavia, privando dei manierismi che hanno reso famosa la danza e coprendo con  cenci  i ballerini e la scena, la principale innovazione apportata da Monteverde se, per un verso, recupera all’interno della coreografia gran parte del testo di Cechov e permette di conservarne una certa immediatezza, soprattutto nei momenti di ensemble, per l’altro paga una stucchevole ricerca di assenza di armonia tra i danzatori e una ridondante imprecisione individuale.

Una scelta, la monocorde e ostentata riduzione del dramma al tempo ormai passato, che se ha portato questo Il lago dei cigni ovvero Il canto a perdere gran parte della vastità estetica e simbolica che attraversa le canoniche trasposizioni coreografiche e drammaturgiche, non è purtroppo riuscita a proporre gli stilemi di un linguaggio autenticamente contemporaneo.

La coreografia è andata in scena
Teatro Quirino

via delle vergini, 7
dal 13 al 18 febbraio 2018

Luciano Carratoni presenta
Balletto di Roma
Il lago dei cigni ovvero Il canto
liberamente ispirato al balletto Il lago dei cigni
e all’atto unico di Anton Čechov Il canto del cigno
coreografia e regia Fabrizio Monteverde
musiche Pëtr Il’ič Čajkovskij
costumi Santi Rinciari
light designer Emanuele De Maria
allestimento scenico Fabrizio Monteverde
assistente alle coreografie Sarah Taylor
costumi realizzati da Opificio della Moda e del Costume
maschere realizzate da Crea FX effetti speciali
video realizzati da Matteo Carratoni e Michele Innocente
durata di 90 minuti con intervallo