L’impossibile necessità

franco-parenti-teatro-milano-80x80Al teatro Parenti in scena un testo del drammaturgo israeliano Hanoch Levin, Il lavoro di vivere, per la regia di Andrée Ruth Shammah, interpretato da Carlo Cecchi.

È notte.
Fuori scende violenta l’acqua di un temporale. Dentro gocciola lentamente un vecchio rubinetto.
È la vita che scorre.
La vita dei due coniugi Yona e Leviva, uniti da trent’anni di matrimonio e menzogne, di desideri soffocati e opportunità perdute.
Lo spettatore li spia attraverso sottili veneziane dorate, mentre litigano e vomitano insulti nella loro camera da letto.
Sono stanchi, annoiati, torturati da un’esistenza che sfiorisce. Un’esistenza che avrebbe potuto essere fiume travolgente e invece si rivela una triste «pozzanghera».
La vecchiaia ha portato via speranze e progetti, lasciando agli amanti soltanto orrore e insoddisfazioni.
Che senso ha avuto il tempo trascorso? Che cosa può rimanere alla fine?
Forse soltanto il ricordo che la persona amata conserverà di noi dopo la nostra morte.
Ma noi non siamo altro che bestie detestabili, pavide di fronte al terrore della morte, imprigionate in una gabbia domestica che non ci ammansisce, ma ci rendi feroci.
Nel susseguirsi degli anni, l’unione coniugale diventa monotona, priva di mistero, senza attrazioni.
Non c’è più niente di speciale e tutto si colora di un grigio sbiadito.
Si può cercare di fuggire, di andarsene, di abbandonare il letto matrimoniale, ma è impossibile, perché la solitudine spaventa. La vita di coppia logora. Non c’è scelta possibile per vivere.
Allora si rimane, «ma l’amore non c’entra, è solo la paura di rimanere soli nel buio della notte». Alla fine, «si ritorna sempre sotto la gonna, e la gonna scende giù, come un sipario».
La voce calda e attraente dell’attore Carlo Cecchi (che interpreta Yona) vibra nella sala come una melodia malinconica, straziante e lamentosa. Ad accompagnarlo, quella più squillante e decisa di Fulvia Carotenuto (Leviva). Anche Massimo Loreto compare sulla scena, nelle vesti di Gunkel, l’indiscreto amico straziato dal celibato e dalla desolazione.
Per la prima volta in scena in Italia, Il lavoro di vivere, l’opera incandescente e feroce del drammaturgo israeliano Hanoch Levin, premio Bialik per la letteratura 1994.
Molto amato in Francia e negli Stati Uniti, Levin, figlio di sopravvissuti all’Olocausto, scomparso nel 1999, fu contestato per le controverse posizioni politiche nei confronti del suo Paese. Di lui, la regista Andrée Ruth Shammah, direttrice del Teatro Franco Parenti di Milano, dice: «è uno che è sempre andato contro il trionfalismo israeliano, che obbliga a mettersi in gioco con una matrice ebraica universale, portando a sfiorarsi commedia e tragedia con la tipica ironia della disperazione».
Non è forse sbagliato pensare che il rapporto tra marito e moglie ricalchi quello più antico e segreto che l’autore intrattiene con la propria terra, amata e odiata insieme, nei confronti della quale nutre contrastanti sentimenti di desiderato distacco e viscerale attaccamento.

Lo spettacolo continua
Teatro Franco Parenti
via Pier Lombardo 14, 20135 Milano
dal 28 Ottobre al 21 Dicembre 2014
martedì e venerdì ore 21.00, mercoledì e sabato ore 20.00, giovedì ore 18.30, domenica ore 16.00, lunedì chiuso.

Il lavoro di vivere
di Hanoch Levin
Traduzione dall’ebraico e adattamento Claudia della Seta e Andrée Ruth Shammah
Uno spettacolo di Andrée Ruth Shammah
con la collaborazione
per l’allestimento scenico di Gianmaurizio Fercioni
per le luci di Gigi Saccomandi
per i costumi di Simona Dondoni
Musiche Michele Tadini
Con Carlo Cecchi, Fulvia Carotenuto, Massimo Loreto

Aiuto regista Benedetta Frigerio
Assistente alla regia Diletta Ferruzzi
Direttore di scena Marco Pirola
Macchinista Paolo Roda
Elettricista Domenico Ferrari
Fonici Davide Marletta, Matteo Simonetta
Sarta Francesca Simoni
Produzione esecutiva Maria Zinno
Foto di scena Fabio Artese

Costumi della Sartoria del Teatro Franco Parenti