Lady Macbeth… è sempre in agguato

Al Tieffe Teatro va in scena, fino a domenica 3 giugno, Il maestro di Vigevano – parabola, sempre attuale, dell’arrivismo dei furbetti del quartiere.

Di questo prezioso testo di Mastronardi, Elio Petri fece un film nel 1963: una prova notevole, in quegli anni, sbattere in faccia agli italiani, sul grande schermo e utilizzando uno tra i volti più noti della commedia nostrana (Alberto Sordi), una storia che si concludeva con un disperato suicidio e che, attraverso la realtà provinciale di Vigevano, palesava quelle che erano le aspirazioni piccolo borghesi, i sogni d’arrivismo e di esibizionismo degli italiani negli anni del boom economico.

Nella Vigevano/Cuccagna deli anni 60 (che si eleva a simbolo di una realtà più diffusamente nazionale) sembra esserci una continua possibilità di guadagno e di escalation sociale per chiunque voglia rimboccarsi le maniche. Da un giorno all’altro, l’operaio che ha messo da parte qualche soldo può aprire due fabbriche, permettersi tre ville, due condominii e terreni di vario genere e misura per il solo gusto di esibire sfacciatamente la propria ricchezza; ma la dignità e il buongusto non si possono comprare e, anzi, tanto più si è disposti a rinunciare a questi aspetti tipicamente umani, tanto più si potrà arrivare al top.

E allora ecco che, nella piazza della città (sagacemente rappresentata con una bellissima proiezione fotografica su schermo), si dipanano le vicende, i pettegolezzi, le meschinità di chi, in diversa maniera, deve mostrare la propria esistenza attraverso ciò che possiede: che sia il primato intellettuale del Direttore della scuola di Vigevano, il sig. Pereghi, che esibisce la propria cultura non con finalità altruistiche ma col solo scopo di umiliare costantemente l’altro (gli applausi sono d’obbligo quando questo personaggio compare in scena, interpretato dell’impeccabile Alarico Salaroli); che sia il maestro Filippi, il quale si vanta di essere anche migliore di un “tale Giorgio Bocca”, non pienamente conspevole della propria condizione di mediocre firma del giornale locale – il Vigevanese – e di servo dei giochi di potere del momento. In tutto questo, l’unico immune alla “psicosi del soldo”, sembra essere il maestro Mombelli: l’ottimo Nicola Stravalaci interpreta senza indugi il ruolo di chi, convinto che la soddisfazione umana data dal proprio lavoro valga più del prestigio economico, cerca di resistere ad atteggiamenti di pericoloso e all’inutile arrivismo sociale. Il meccanismo si rompe, però, quando una moderna Lady Macbeth inizia a istigarlo a cercare di più, a pretendere un’esistenza migliore, un’esistenza più prestigiosa da poter sbattere in faccia ai concittadini, la domenica in piazza – un risultato che sarà pagato a caro prezzo. E sarà proprio Ada Mombelli (interpretata da un’energica Roberta de Stefano) a spingere il marito a utilizzare la sua liquidazione di maestro per impiantare una fabbrica di scarpe: ed è l’inizio della fine. Non solo l’ex maestro non troverà appagamento in questa nuova vita da ricco, ma dovrà altresì subire l’umiliazione di essere mantenuto dalla moglie e dal cognato – trasformandosi nello lo zimbello del paese. A rovinarlo, in un mondo di squali, sarà proprio la sua genuinità e onestà umana: dichiarando le magagne sottese al successo immediato e inspiegabile della sua “fabbrichetta”, gli escamotage come l’evasione fiscale e le furberie mercantili che tutti praticano nella zona, ma che lui solo si ritroverà a pagare, quale unico capro espiatorio.

Ecco allora rivelarsi tutta l’attualità di un testo che regala al pubblico di oggi la triste consapevolezza che, in fondo, non è cambiato granché da quegli anni. Un testo che mostra quanto sia difficile, in Italia, ricoprire la figura dell’imprenditore illuminato: l’ossessione del soldo, priva di un atteggiamento umano e soprattutto di una preparazione culturale adeguata, non può che rovinare un Paese. E alla fine, quello che emerge dall’intero spettacolo, e che lascia davvero con l’amaro in bocca, è che i più triviali e materiali sembrano sempre averla vinta. Mentre Mombelli si sucida perché ha più volte svenduto la propria dignità per il sogno della moglie – ossia, la “scalata sociale” – l’arrogante di turno dorme sonni tranquilli e dispensa umiliazioni verso coloro che, in teoria, rappresentano l’humus culturale del paese. L’emblema di questo tipo di homo faber fortunae suae è l’ex operaio e neo-imprenditore di successo, il commendatore Girini (altro personaggio riuscitissimo nell’interpretazione di Mario Scarabelli) che, nella sua ignoranza becera (sia umana che intellettuale), stigmatizza le aspirazioni dell’italiano medio che non trova la propria realizzazione nella dignità, nell’altruismo, nella cultura, bensì nell’esibizionismo da parvenue, perché: «diciamolo, se un uomo oggi non può permettersi un visone per la moglie, è un fallito!».

Togliendo i costumi vintage, quei personaggi che spettegolano, tramano, umiliano continuamente il prossimo – e tutto alla luce del sole, nella piazza del paese – sono gli stessi protagonisti della quotidiana miseria di casa nostra, della solita spaventosa “Italietta” pronta a grandi turpitudini ma per obiettivi piccoli, limitati.

Quello che viene da chiedersi è: dove può arrivare uno Stato dove le massime aspirazioni sono queste? E soprattutto: che spazio può occupare nella società, chi, come Mombelli, ama il suo lavoro e lo considera una missione, nonostante sia un impiego umile e poco redditizio? Forse l’unica valvola di sfogo resta il sogno, subrealtà che il maestro più volte si concede per scappare da circostanze ostili e soffocanti: che siano sogni improbabili su Coppi e Bartali, o le immagini di donne che in vari momenti inciampano sul suo percorso come irreali ologrammi di puro sentimento, la fuga nella fantasia sembra essere l’unico antidoto contro la morte interiore. Ma, come ci hanno abituato i film della grande commedia all’italiana – che prima ti strappano un sorriso e poi ti gettano nel baratro della malinconia – questo spettacolo mostra come, ieri come oggi, non basta sognare per cambiare le cose.

Lo spettacolo continua:
Tieffe Teatro Menotti
via Ciro Menotti, 11 – Milano
Fino a domenica 3 giugno
orari: martedì, giovedì, venerdì, sabato, ore 21.00 – mercoledì, ore 19.30 – domenica, ore 17.00

Il maestro di Vigevano
tratto dal romanzo di Lucio Mastronardi
adattamento teatrale Emilio Russo
regia Marco Balbi
con Natale Ciravolo, Natascia Curci, Roberta de Stefano, Gianni Quilico, Alarico Salaroli, Mario Scarabelli, Nicola Stravalaci e Marco Zannoni
luci Mario Loprevite
costumi Mariella Visalli
produzione Tieffe Teatro