Bravura e buon gusto al Teatro Libero con Alberto Giusta e la compagnia Gank. E (quasi) tutto si tinge di bianco.

Sagace, Molière. Intitola una delle sue pièces più famose Il Misantropo, preparando da quasi quattro secoli – in quasi tutto il mondo – l’ignaro pubblico ad assistere a una commedia sull’odio per gli uomini e sul desiderio di solitudine ed ecco che, invece, sul palco compare Alceste, innamorato passionale e oratore incantevole. Tutti già pregustano l’idea di poter puntare il dito contro un vecchio scontroso, brontolone e asociale, mentre al contrario il vizio messo in scena non è la misantropia bensì un altro – molto più comune, molto più attuale, molto più concreto: l’ipocrisia. Che non è proprio del protagonista, ma di tutti gli altri.

Sagace anche Alberto Giusta, il regista dell’ennesima messa in scena di questo classico immortale, che sceglie di ritorcere il dito giudicante contro gli stessi giudici, contro gli spettatori: in sala il buio non è mai completo, e molte delle critiche che i personaggi, in particolare Alceste, lanciano in lunghi monologhi brillanti e sprezzanti, sono declamate a proscenio, con gli occhi dell’attore che frugano in sala, che cercano i nostri, che li trovano e li costringono a distogliere lo sguardo, imbarazzati. La luce bianca del neon che marca il confine tra palco e platea non risparmia nessuno, e in scena i fari, tutti dal basso, non concedono angoli bui in cui nascondersi, e non cambiano mai, non lasciano vie di scampo.

Luce bianca, sedie bianche, scalini bianchi; persino il sipario è bianco, addirittura i volti, e le mani. Il bianco è il colore stesso dell’ipocrisia, della falsità, di questo vizio ambiguo su cui si regge l’intera trama, un atteggiamento che subdolamente permea le azioni di tutti i personaggi, che si ritrovano a fingere, chi forse per bontà, chi per interesse, chi per l’inconfessabile piacere di far soffrire il suo prossimo. L’ipocrisia diventa il vizio caratterizzante del Settecento, secolo in cui Giusta sceglie di ambientare la commedia, così come il bianco ne diventa il colore. Con una sola eccezione: Alceste, il protagonista, il misantropo, il diverso. Nonostante la sua pelle sia infatti inevitabilmente cerea come quella di tutti gli altri, i suoi capelli, la sua giacca, le sue scarpe e i suoi pantaloni sono neri. E non solo: sorprendentemente sono Ottocenteschi. Alceste non si limita a rifiutare un comportamento che appartiene a tutta la sua epoca, ma arriva a rinnegare l’epoca stessa, facendo il passo che lo porta al secolo successivo, alla modernità. Coi suoi pantaloni lunghi (gli altri personaggi maschili li hanno tutti fino al ginocchio), la sua giacca senza fronzoli barocchi, i suoi capelli lasciati lunghi e senza parrucca, il misantropo acquista una profondità nuova, commovente; si staglia nettamente, cupo e scuro sullo sfondo di tutte quelle figure chiare ed effimere, e la sua reazione d’odio contro l’umanità intera diventa comprensibile, accettabile, quasi eroica. L’ottima recitazione di Antonio Zavatteri, che al protagonista presta volto e corpo, fa il resto: il testo scorre senza intoppi, le frasi restano palpabili nell’aria, le espressioni sofferenti del volto, così vicino e quindi così intellegibile grazie alle dimensioni ridotte del Teatro Libero, comunicano le emozioni con sincerità. Gli altri attori della compagnia non sono da meno, e tutti danno vita a personaggi genuini, credibili, convincenti.

Tra risate mai scontate e riflessioni ancora attuali, lo spettacolo si srotola, lasciando il tempo di cogliere ogni particolare: i dettagli curati dei costumi e degli oggetti di scena, le sfumature delle voci, le piccole differenze nel trucco, le ben dosate note di musica moderna francese.

La fine arriva spietata, la commedia resta sospesa, e insieme a Filinto ed Eliante ci ritroviamo impotenti a guardare un’assenza, a misurare con gli occhi lo spazio vuoto lasciato da Alceste, con il dubbio che quell’uomo, a rifiutarci e odiarci forse non abbia tutti i torti.

Lo spettacolo continua:
Teatro Libero
via Savona 10 – Milano
fino a giovedì 29 marzo, ore 21.00

Il Misantropo
di Molière
compagnia Gank
regia di Alberto Giusta
con Antonio Zavatteri, Massimo Brizi, Alberto Giusta, Alessia Giuliani, Barbara Moselli, Federico Giani, Alex Sassatelli, Francesca Masella