Dal romanzo alle visioni digitali del teatro contemporaneo

Al Teatro Argentina, fino al 4 febbraio, è in scena un’imperdibile versione teatrale di uno dei romanzi più affascinanti e importanti degli ultimi decenni.

Sono trascorsi appena due anni dalla morte di uno degli intellettuali italiani più brillanti e noti a livello internazionale della seconda metà del Novecento; prima di lasciarci, Umberto Eco ha consegnato alla storia della cultura un contributo memorabile, che spazia dalla filosofia, alla semiotica, alla produzione letteraria.
Tanti i suoi romanzi, ma fu nel 1980 che Eco impresse il suo nome nella storia della letteratura in quel capolavoro che è Il nome della rosa. Tradotto in 47 lingue, opera che avrebbe dovuto garantire al suo autore il privilegio del Nobel per la letteratura, Il nome della rosa mantiene a 38 anni dalla sua uscita tutta la sua complessa stratificazione concettuale e contenutistica. Questo emerge anche nello straordinario spettacolo in scena al Teatro Argentina diretto da Leo Muscato della versione teatrale firmata da Stefano Massini del romanzo.

Una produzione molto sofisticata e ambiziosa, con un cast straordinario e un impianto scenografico in grado di proiettare lo spettatore nell’universo medioevale e all’interno dell’abbazia benedettina dove si svolgono le vicende di Frate Guglielmo da Baskerville e del suo novizio. La bellezza dello spettacolo teatrale e il suo valore possono venire misurati in base a due criteri: il primo è relativo alla grandezza del testo, che riesce a restituire tutta la “complessità avvincente” (ossimoro quanto mai raro, sinonimo di genio) del romanzo: ricostruzione storica attenta, che coniuga profili psicologici profondi e sapientemente emblematici di un passaggio epocale tra due diverse visioni del mondo, il tramonto dei secoli bui e l’avvento della modernità, fede e scienza, ma anche intelletto e carnalità, teologia e ironia, e soprattutto documentazione storica e giallo degno delle vicende di Sherlock Holmes.

L’altro criterio, forse quello più importante e decisivo per ribadire la dignità del capolavoro echiano, è relativo alla specificità della costruzione drammaturgica: quando nel 1986 uscì il bellissimo film di Jean Jacques Annaud, interpretato da un indimenticabile Sean Connery, si disse con ragione che la trasposizione cinematografica aveva messo in evidenza la caratterizzazione propriamente visiva del romanzo. Ma il romanzo sembra contenere in sé anche una dimensione propriamente teatrale: i lucidi e taglienti dialoghi tra i protagonisti, nonché l’ambientazione da kammerspiel della maggior parte delle scene, hanno garantito alla messa in scena di Muscato la sua efficacia. Lo spettacolo va oltre: le scene si susseguono grazie a straordinari artifici  tecnici, che simulano la successione delle inquadrature grazie allo scorrimento del pannello e al calibratissimo disegno luci, di grande potenza evocatrice e capace di dare l’effetto della ricostruzione della memoria del narratore. A questo si aggiunge l’utilizzo di evolute tecnologie digitali di proiezione, che amplificano l’effetto di assorbimento magico dello spettatore.
Un viaggio nel cuore di un capolavoro letterario, che mette insieme la dimensione storica e la sperimentazione visiva, per ottenere come risultato una trasposizione di grande livello.

Lo spettacolo continua
Teatro Argentina
Largo di Torre Argentina, 52 Roma
fino al 4 gennaio
martedì e venerdì ore 21.00
mercoledì e sabato ore 19.00
giovedì e domenica ore 17.00
lunedì riposo
durata 2 ore e 30

Il nome della rosa
di Umberto Eco
versione teatrale Stefano Massini
regia e adattamento Leo Muscato
con Eugenio Allegri, Giovanni Anzaldo, Giulio Baraldi, Renato Carpentieri, Luigi Diberti, Marco Gobetti, Luca Lazzareschi, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Alfonso Postiglione, Arianna Primavera, Franco Ravera, Marco Zannoni
scene Margherita Palli
costumi Silvia Aymonino
luci Alessandro Verazzi
musiche Daniele D’Angelo
video Fabio Massimo Iaquone, Luca Attilii