Il lento e indiscutibile fascino del sogno

Lievi conduce von Kleist sul palcoscenico dell’Elfo Puccini: spazi sonnambuli per guerrieri senza macchia, ritmo intorpidito, contorni sfuggenti, proprio come nel sonno. Una bellezza prorompente.

Può una battaglia, una disobbedienza all’ordine di un superiore, una sentenza della corte marziale, in un luogo e in un tempo che non sono i nostri, avere fascino?

La risposta è Il principe di Homburg.

Una scala surreale. Un luogo indefinito, nonostante i dettagli. Un silenzio di cinguettii primaverili e ruscelli immobili, riflessi, fiori, corpi plastici. Un principe si è perso nella sua mente di giovane sognatore, in un luogo ameno dove la gloria, l’amore e il futuro sembrano a un passo, a un soffio. Poi la realtà: sedie pesanti, una guerra, un guanto, una vittoria. L’esaltazione, e improvvisa la caduta, violenta e inaspettata, dolorosa, spaventosa.

Già il testo è incredibilmente suggestivo, ricco e sorprendente, costruito con una maestria che maschera se stessa e si svela poco a poco, fino ad accecare luminosa nel finale, anello perfetto che chiude il cerchio della vicenda ed esplicita la dirompente ed attualissima proposta di Von Kleist: «da ogni conflitto si esce grazie a un sogno». Tutto questo, incastonato nelle sublimi scene di Josef Frommwieser, che crea una realtà dal peso indefinibile. Le strutture, di un grigiore impalpabile e altero, scorrono una dentro l’altra, in perfetto silenzio, modificando di volta in volta il luogo, da esterno a interno, da giardino a campo di battaglia, da palazzo a prigione, suggerendo mute che ogni luogo può contenere tutti i luoghi, che un prato fiorito può nascondere delle sbarre, e una cella può rinchiudere anche le idee di chi l’ha imposta.

Ad orchestrare sul palco la danza dei luoghi e delle parole, Cesare Lievi, regista delicato e innamorato, rispettoso e accurato traduttore prima dal tedesco all’italiano, poi dalla parola scritta alla scena. In un’atmosfera così profumata di neoclassicismo da arrivare a stordire, i dieci attori si lasciano condurre fiduciosi sul galeone in bottiglia che Lievi ha creato per loro, con una recitazione diafana anche se non sempre impeccabile, e una lentezza sognante che però a tratti, invece che trasportare storia, corpi e voci nell’etereo volo della dimensione onirica, fa precipitare il tutto in una molto più terrena e comune noia. Il ritmo cadenzato dei sogni è ricreato alla perfezione, ma appiattisce certe possibilità di variazione e piccoli spunti di ironia di cui il testo era ingioiellato, e allo stesso modo i personaggi, pur di rimanere in questa realtà incerta, risultano sfuocati e sfuggenti, eccezion fatta per l’Elettore – Stefano Santospago, incredibilmente vero nel suo ruolo sfaccettato.
Proprio come nelle visioni del sonno, il fulcro della vicenda non è chiaro, il centro della situazione diventa netto solo verso la fine, e l’estetica, fine e ricercata, rischia di essere così presente da mangiarsi il senso di cui è portatrice; ma tra luci impeccabili e bellezza incantatrice, prima che cali il sipario la magia del fascino indiscutibile di Homburg conquista tutta la platea.

Lo spettacolo continua:
Teatro Elfo Puccini
c.so Buenos Aires, 33 – Milano
fino al 29 aprile
ore 20.30 (domenica ore 16)
dal 3 al 6 maggio, Modena (Teatro Storchi)

Il principe di Homburg
di Heinrich von Kleist
traduzione e regia di Cesare Lievi
drammaturgia Peter Iden
scene Josef Frommwieser
costumi Marina Luxardo
disegno luci Gigi Saccomandi
con Stefano Santospago, Ludovica Modugno, Maria Alberta Navello, Emanuele Carucci viterbi, Lorenzo Gleijeses, Graziano Piazza, Fabiano Fantini, Sergio Mascherpa, Andrea Collavino, Paolo Fagiolo
una co-produzione Teatro Nuovo Giovanni da Udine e CSS Teatro Stabile di innovazione del FVG