La perdita d’innocenza

Il clima del sospetto, la paura di essere in odore di reato sono i protagonisti de Il Principio di Archimede, dramma di Josep Maria Miró che ha preso forma sul palcoscenico del Teatro di Rifredi il 15 febbraio, in prima nazionale, con la regia di Angelo Savelli.

In una piscina di un piccolo comune si svolge un giallo: un istruttore di nuoto è sospettato di pedofilia. Il tutto nasce dal racconto di una bambina su di un presunto bacio sulla bocca tra un suo compagnetto e il suo istruttore di nuoto. Un semplice post sul gruppo chiuso dei genitori su facebook e si scatena l’inferno sulla piscina e sull’istruttore.
La direttrice, scioccata dai fatti di cronaca e dalla sua vita personale, fatica a trovare un modo di fare neutrale ed equo, divisa tra l’amicizia verso il suo dipendente e la legittima paura dei genitori su di un caso di pedofilia. Mentre il dramma che va in scena non intende raccontare un reato di pedofilia (di cui non si saprà se si sia verificato o meno), bensì il clima che si crea quando la notizia di un fatto di cronaca è malgestita – ossia della poca attenzione su come si racconta e davanti a chi si racconta. Finché un problema reale ingigantisce al punto da trasformarsi in persecuzione. In altre parole, come si riesce a rimanere umani anche di fronte all’ossessività mediatica e, di riflesso, dell’opinione pubblica di fronte ai fatti di cronaca?
Tornando alla nostra piscina, a far scoppiare la scintilla non sono le vittime, vere o presunte – il bambino baciato e i suoi genitori – bensì dei terzi e quarti, dei comprimari, che tramite il passaparola accusano l’istruttore di essere “troppo affettuoso”. Come spettatori sappiamo poco, solo che una bambina ha parlato e che qualcosa di simile è accaduto pochi giorni prima alla ludoteca poco distante dalla piscina. Il sospetto è fondato o è il frutto del panico di cui sono investiti i genitori e di una conseguente deficitaria comunicazione con i loro bambini?
Miró e Savelli, in questo Principio di Archimede, raccontano il clima generato dal panico, dal terrore diffuso tra i genitori e gli istruttori della piscina. Uno degli atti più spregevoli che un essere umano può compiere, quello di abusare di un bambino, funge da apripista al vero racconto, quello sulla diffusione del sospetto e del panico, sulla comunicazione irresponsabile, priva di cautela sia nei confronti delle vittime sia dei presunti colpevoli (che, fino a prova contraria, non possono essere che innocenti). Si pone l’accento su quanto la malgestione della comunicazione dei fatti di cronaca possa avere conseguenze altrettanto importanti del fatto di cronaca stesso. L’informazione e la facilità di manipolazione dei fatti possono influire sul pensiero dell’opinione pubblica, o di chi circonda le persone coinvolte, le quali perdono ogni loro certezza sospettando anche di ciò che, prima, non avrebbero nemmeno preso in considerazione – minando affetti e sicurezze.
Difatti, l’abile regia – con una serie di flashback e flashforward – mette in scena una concanetazione di eventi dalla rilevanza mutevole a seconda dei punti di vista e dei sospetti che si creano. La messa in scena costringe lo spettatore a immedesimarsi in quella comunità e prendere una posizione, condannando o assolvendo l’accusatore e l’accusato. Siamo noi spettatori che circondiamo il palco dall’alto a decidere per loro, un po’ come accade in questa dura realtà alla ricerca di processi mediatici e plateali sollecitati non dai fatti reali, ma dalla paura. Spesso i media creano un’atmosfera giacobina che non risparmia nemmeno i bambini, a cui, evidentemente, è sottratta la libertà dell’innocenza – già con il solo senso di colpa e d’impotenza dei genitori, che pensano di non riuscire più a proteggere oppure non sempre possono proteggere.
Di certo vi è una realtà oramai falsificata e deviante, costruita su una serie di atteggiamenti non più governati dal buon senso e dalla prevenzione, quanto dal sospetto che non ammette che si possa accarezzare o abbracciare un bambino, impaurito e in lacrime, o reggergli i fianchi o mettergli la mano sul ventre per insegnarli a nuotare.
Grazie alla regia e agli attori, decisamente all’altezza, lo spettacolo si è rivelato ansimante, angosciante, coinvolgente e sconvolgente, tanto da aver richiesto a noi un po’ di freddezza nello scrivere. Ci auguriamo che possa avere altri palcoscenici perché è un ottimo spunto di riflessione – molto dolorosa, ma necessaria in questi tempi bui.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro di Rifredi
via Vittorio Emanuele II°, 303
Firenze
giovedì 15 febbraio, ore 21.00

Pupi e Fresedde-Teatro di Rifredi Centro di Produzione presentano:
Il Principio di Archimede
di Josep Maria Miró
traduzione e regia Angelo Savelli
con Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini e Samuele Picchi
scene Federico Biancalani
luci Alfredo Piras

Ph: Pino Le Pera