La galleria d’arte Bosi Artes ha inaugurato ieri sera una mostra fotografica e di video installazioni di quattro giovani e promettenti artisti, Marta Jovanovic, Andrea Nicodemo, Salvatore Mauro e Beatrice Scaccia.

Nell’accogliente spazio della Galleria Bosi Artes, prende vita un affascinante esperimento; quello di far convivere – amalgamandosi – diverse espressioni artistiche, dalle provocazioni fotografiche di Marta Jovanovic all’incisione con matita e gesso su carta giapponese di Beatrice Scaccia, dal Polittico di Andrea Nicodemo alle video installazioni di Salvatore Mauro.

Un’operazione intelligente ed arguta, che mette a disposizione tutte le sue potenzialità per far entrare il maggior numero di persone in un mondo per troppo tempo in mano alle elìte di turno, pronta viceversa ad aprirsi alla curiosità e alle passioni fotografiche ed artistiche del presente e, perché no, dell’imminente futuro. Ed è precisamente in questa atmosfera di consapevole apertura al nuovo, di attiva presenza nel contemporaneo, che si snoda l’intera mostra, offrendo una poliedricità di visioni e suggestioni davvero uniche.

Marta Jovanovic, nata a Belgrado (ma vive e lavora tra Roma e New York) e laureatasi presso la “Tulane University” negli Stati Uniti, affronta nel suo ciclo fotografico il tema, quanto mai attuale, del rapporto tra immagine e corpo, tra rappresentazione e fisicità, nella messa “a nudo” dei ruoli e delle maschere artificiali a cui la società costringe l’uomo, nella ricerca vana e insensata di una normalità che tende sempre più alla banalizzazione di qualsiasi istinto vitale e creativo. La sua, è una fotografia nitida e attenta all’essenzialità della vita, dell’attimo quotidiano e inatteso, in un gioco sottile di rimandi, di “arrivi” e “partenze”, di instabile stabilità che certifica a pieno l’evanescenza insostenibile della ragione odierna e la difficoltà, alle volte davvero insormontabile, dei corpi di “prender possesso” della realtà, nel costruirsi uno spazio (quanto mai condiviso con altri soggetti-corpi) in cui poter essere loro stessi, a stretto contatto dialettico con le proprie passioni ed utopie.

Viceversa nel ciclo di opere di Andrea Nicodemo (nato a Termoli nel 1976, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma) e soprattutto nel Polittico, vi è tutta la precaria esistenza dell’artista nel definire e ridefinire costantemente il suo essere-al-mondo, la sua innata capacità di dare forma alle sue ossessioni e alle sue proiezioni mentali, nella ostinata ricerca di un vocabolario oggettivamente autentico, una sorta di “misura” abile a regolare-gestire il caos mondano presente. Un ritorno dunque al triangolo filologico tra introspezione dell’artista, lo sguardo “terzo” del pubblico (che anima e rende viva l’opera) e l’epifania creativa, rimarcando, con sottile ironia, la complessa dinamica del conoscere conoscendosi, nel trasmettere trasmettendosi, del comunicare comunicandosi, senza però mai perdersi nel cieco nichilismo dell’autoreferenzialità o nell’ideologia spuria dell’accademia.

L’interesse invece di Salvatore Mauro, prolifico artista siciliano (nato a Siracusa nel 1977 ed attivo a Roma fin dal 2000 con mostre personali e collettive), si rivolge principalmente alla studio del dinamismo dell’acqua come riflesso etereo della capacità di incisione della realtà, demarcazione “dell’autentico” dall’artificiale, di catalizzatore d’energie, passioni mute e misteriose in un fluire incessante, in un moto perpetuo al tempo stesso omogeneo e disomogeneo al piano del pensiero, alla cinica oggettualità dell’arredo urbano; una teoria descrittiva, istintivamente narrativa, che permette, al suo realizzarsi concreto in quanto contemplazione in divenire, di evocare una dimensione primitiva, inesplorata, pre-storica della coscienza, nel suo farsi elemento organico del riqualificarsi “liquido” della natura. E la natura, in quanto ambiente, è proprio il luogo dell’eu-topos, cioè del non-luogo e dunque della possibilità di qualsiasi spazialità critica ed innovativa.

Questo viaggio si conclude (senza ovviamente concludersi) con il ciclo “filmico” di Beatrice Scaccia; un’artista nata nel 1978, la cui formazione artistica accademica risulta evidente dalla paziente sapienza con cui cesella la sua opera, incidendo con matita e gesso carta giapponese, evidente nella sua personale romana dal titolo He, She, it: masculine, femmine and neuter gender, in cui alla indeterminatezza sessuale, alla ormai impossibile identificazione fisica del desiderio, alla nebulosa ricerca di un godimento qualsiasi, quanto mai neutro ed anonimo, che tende a frustranti insoddisfazioni, si contrappone tuttavia la speranza di un ritorno “logico” (a una logica che sa e sente dentro di sé tutta la sua radicale illogicità) alle familiari passioni che accompagnano l’uomo nella definizione delle sue necessità-voglie più intime ed inconfessabili, nella sua attiva osmosi col mondo esterno; un esterno, che in realtà, non è altro che la proiezione sublimata del suo Ego desiderante.

Una dialettica che punta a ricalibrare lo squilibrio tra azione ed atto, tra dire ed essere detti, tra parlare ed essere parlati (così dirompente del teatro irrappresentabile di Carmelo Bene) che qui trova, a mio avviso, una sintesi audace, pronta a nuovi e inattesi sviluppi.

La mostra continua:
Galleria Bosi Artes
via Pinciana, 41 -Roma
fino a sabato 30 aprile
orari: da lunedì a sabato ore 10.00-13.30 e 15.30-18.30 (chiuso sabato pomeriggio)
curatrice Ilaria Caravaglio