Il citazionista

Un testo metateatrale di Carlo Goldoni interpretato e diretto da Roberto Latini con gli attori storici di Leo De Berardinis.

Il Piccolo Teatro di Milano produce la nuova creazione di Roberto Latini e la scelta cade inevitabilmente su un autore che appartiene alla sua storia gloriosa, Carlo Goldoni, e su un testo poco frequentato sui nostri palcoscenici: Il teatro comico. Scritto nel 1750 per il Sant’Angelo di Gerolamo Medebach introduce le sedici commedie nuove, che, alla chiusura del carnevale, il drammaturgo aveva promesso di scrivere per la nuova stagione, applicando i principi della sua riforma. Con chiaro intento programmatico, due forme di teatro sono contrapposte: da un lato, c’è il teatro dell’arte, con le sue improvvisazioni e le sue maschere; dall’altro, quello della riforma. Il dibattito si svolge su un palcoscenico «senza lumi e senza spettatori» perché si sta provando il terzo atto del canovaccio Il padre rivale del figlio: c’è un impresario (Orazio, un po’ Medebach, un po’ Goldoni), ci sono gli attori, una cantante lirica in cerca di ingaggio, un poeta. Tra bizze di prime donne, protagonismi e malumori, riferimenti realistici alla difficoltà economiche, difese della nuova forma di teatro e resistenze culturali, l’autore entra nel vivo della querelle che la propria riforma aveva sollevato, rappresentando contemporaneamente un vivace spaccato della vita teatrale settecentesca. La mente dello spettatore contemporaneo corre a Pirandello (e magari a Tieck), quindi anticipa quello che sarebbe accaduto, ma potrebbe anche risalire alla cultura barocca italiana (vedi Andreini). E se Goldoni dichiara di essersi basato per la sua riforma su due libri, il Teatro e il Mondo, Roberto Latini si concentra solo sul primo, sorvolando sugli elementi realistici della commedia.
Alle spalle di questa edizione ci sono infatti due spettacoli. Il primo è, ovviamente, Arlecchino servitore di due padroni di Giorgio Strehler (ma è degno di nota il fatto che Roberto Latini sia stato Arlecchino nella riscrittura di Ken Ponzio ambientata da Latella in un albergo alla Marthaler), il secondo Il ritorno di Scaramouche, una delle più belle creazioni di Leo De Berardinis in cui, con ironia e modernità, si proponeva un discorso emozionante sull’uso della maschera (ed è altrettanto significativo che il regista non solo ricordi di aver visto quello spettacolo mentre studiava con Lea Peragallo, ma che abbia voluto Elena Bucci, Marco Sgrosso e Marco Manchisi, i suoi indimenticabili interpreti). Leo De Berardinis, però, si muoveva con grande libertà creativa su testi disparati (c’era anche Joyce), mentre qui un solo testo struttura (e ingabbia) la fantasia del regista.

Dato che la passione citazionista di Roberto Latini eccede facilmente, ecco che altri spettacoli fanno capolino: la Tempesta diretta sempre da Strehler (ascolteremo la voce registrata di Giulia Lazzarini e poi vedremo anche riproposta la scena di Ariel appesa ad un filo, ma con meno espressività acrobatica dell’originale), manichini che rimandano a Kantor (più algidi e meno artigianali), un uso dei microfoni alla Carmelo Bene. E, magari, con i ripetuti spari di pistola il regista potrebbe voler alludere all’Amleto della Societas Raffaello Sanzio.
Latini, eliminando qualsiasi spunto realistico, sin dall’inizio punta alle metafore. Il primo atto mette in scena una grande pedana basculante (oscilla a seconda dello spostamento degli attori) che nell’elegante scena di Marco Rossi è contemporaneamente il palco della Commedia dell’arte, ma anche una nave di folli e una zattera di naufraghi. Una grande statua di Arlecchino domina a lato del palcoscenico, che in due momenti viene abbattuto: resteranno frammenti del suo corpo sparsi nello spazio, così come nello spettacolo la sua presenza/assenza è ripartita tra tutti gli attori (e, infatti, un po’ tutti vivono il lazzo della mosca).

Fortunatamente Roberto Latini ha un autorevole presenza (il personaggio di Orazio nel testo è onnipresente) ed è un ottimo direttore di attori, tutti da lodare. Dagli storici del Teatro di Leo: Elena Bucci (nella doppia parte di Placida e Rosaura) a Marco Sgrosso, che recita anche in travesti il ruolo di Eleonora, la cantante lirica, che abbassa la cresta e mendica una parte (ed è una sequenza straordinaria), a Marco Manchisi, il poeta Lelio ma anche un Pulcinella in trasferta. Savino Paparella, Francesco Pennacchia, Stella Piccioni e Marco Vergani si inseriscono con creatività e contribuiscono alla riuscita delle scene di insieme (che sono belle e commoventi, ricche di reminiscenze dello Scaramouche di De Berardinis).
Il teatro comico, come tutti gli spettacoli di Roberto Latini, è molto curato in tutte le sue componenti espressive: dalle luci di Max Mugnai ai bei costumi rovesciati di Gianluca Sbicca, fino alla scelta musicale di Gianluca Misiti, che riesuma il compositore polacco Zbigniew Preisner, l’autore delle colonne sonore dei film di Kiéslowski.

Questo Teatro comico è una creazione eclettica e inclusiva, ad altissimo tasso metaforico, in cui tutto rimanda ad altri spettacoli: non c’è un momento in cui una cosa sia se stessa. E se il regista è sicuramente abile nell’amministrare questa sorta di delirio metateatrale, non riesce però a evitare un’atmosfera asfittica, che genera stanchezza.

Lo spettacolo continua:
Piccolo Teatro Grassi
Via Rovello, 2 Milano
dal 20 febbraio al 25 marzo 2018

Il teatro comico
di Carlo Goldoni
adattamento e regia Roberto Latini
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Max Mugnai
musiche e suono Gianluca Misiti
con Elena Bucci, Roberto Latini, Marco Manchisi, Savino Paparella, Francesco Pennacchia, Stella Piccioni, Marco Sgrosso, Marco Vergani
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

photo: @Masiar Pasquali