Che cosa sei?

Gesti, parole e movimenti il cui senso risulta sfuggente e indecifrabile, che tengono a distanza senza saper coinvolgere.

La coreografa e attrice Floor Robert, sola sul palcoscenico, di spalle al pubblico e con indosso un vestito rosa, con sei palloncini verdi come unica scenografia, canta in neerlandese senza accompagnamento musicale; quindi si volta verso la platea ed emette suoni gutturali mentre mima il gesto di gonfiare una gomma o un pallone. Viene poi raggiunta sul palco dal ballerino Francesco Laterza, col quale esegue alcuni movimenti poco decifrabili, tranne quello di cadere e di essere sostenuta da quest’ultimo, mentre dietro di loro compare un attore coperto da fogli di giornale. Da questo momento si ode un sottofondo di musica elettronica che durerà sino al termine dello spettacolo.

Il ballerino si sdraia e l’attrice gli poggia il capo in grembo, quindi i due si alzano e lui esce di scena. Floor Robert, rimasta sola, continua a compiere movimenti difficilmente comprensibili. Laterza rientra in scena, i due siedono l’uno accanto all’altra e si posano le mani sui ginocchi, quindi lei ripete il gesto di cadere e lui di sorreggerla stendendo le braccia; tornano poi a distendersi e lei gli poggia il capo in grembo come prima. Il ballerino esce nuovamente di scena. L’attore prima coperto dai fogli di giornale li lascia cadere e si avvicina al pubblico. Floor Robert, rivolgendosi alla platea, recita il seguente monologo che conclude lo spettacolo: «Sei un passante? Passi di qui? Sei un carciofo? Fiorisci qui? Sei una pentola? Cucini qui? Sei una nuvola? Piangi qui? Sei la fine? Finisci qui?»
Confessiamo la nostra limitatezza e ammettiamo di non aver compreso che cosa lo spettacolo volesse comunicare, raccontare o rappresentare. Per quaranta minuti si vedono due attori compiere movimenti privi di qualunque finalità e scopo, che solo su un palcoscenico teatrale possono vedersi. La canzone iniziale risulta incomprensibile, crediamo, alla gran parte del pubblico, data la scarsa conoscenza, almeno in Italia, della lingua in cui è cantata. Il senso di coprire un attore con fogli di giornale ci sfugge completamente; comunque, vederlo così bizzarramente addobbato per gran parte dello spettacolo riesce involontariamente ridicolo. Il monologo finale è altrettanto criptico e non illumina il significato dell’insieme e suona come una maldestra imitazione del linguaggio infantile, quasi una filastrocca senza rima.

Che cosa l’autrice abbia voluto esprimere con questa sua opera non siamo dunque in grado di dire. Ci si trova a osservare attonito un’opera che non comunica o lo fa in modo tale da rendere la comprensione, se non impossibile, quantomai ostica e faticosa. Se manca del tutto un coinvolgimento razionale, non comprendendo che cosa avvenga in scena, latita anche la partecipazione emotiva e lo spettacolo riesce così indifferente all’osservatore esterno di azioni il cui senso gli sfugge. Viene ben presto meno l’attenzione, nonché l’interesse per quanto si svolge sulla scena, che non tocca minimamente la platea. La scomparsa della scenografia, a eccezione dei palloncini verdi, non risulta motivata; o, di nuovo, le motivazioni sfuggono, visto che gli stessi palloncini non rivestono una particolare finalità scenica. Il significante, ovvero il linguaggio adottato dallo spettacolo, non è mai carico di significato, oppure lo cela al suo pubblico adottando una forma chiusa che non comunica. L’uso della musica elettronica, tappeto sonoro che dovrebbe creare un’atmosfera sospesa e quasi ipnotica, col suo ritmo lento e le sonorità avvolgenti, di fatto non riveste un ruolo decisivo nel definire il messaggio dello spettacolo e veicolarlo allo spettatore, portando a interrogandosi sul senso di quanto visto ma disperando presto di trovarlo. Tenendo a distanza l’interlocutore, impedendo qualunque forma di coinvolgimento, lo spettacolo si fa dimenticare presto e senza rimpianti e non invoglia a una seconda visione. Dubitiamo sia questo il modo di riconciliare il pubblico col teatro; pensiamo anzi che una forma solipsistica come questa, che esclude a priori qualunque comunicazione con gli astanti, col quale rinuncia o comunque non si cura d’instaurare qualsivoglia contatto, possa soltanto allontanarlo sempre di più e alienarsene le simpatie. E, se così dovesse accadere, non ci sentiremmo di biasimare chi diserterà le sale teatrali. Parafrasando il monologo sopra citato, si potrebbe domandare allo spettacolo: «Che cosa sei?»; o, meglio: «Che cosa vuoi dire?»

Lo spettacolo è andato in scena
Zona K

via Spalato 11, Milano
giovedì 25 maggio presso

Floor Robert/ InQuanto teatro
Influenza
di inQuanto teatro
ideazione e coreografia Floor Robert
con Floor Robert, Giacomo Bogani, Francesco Michele Laterza
musiche Manuele Atzeni
tecnica Monica Bosso
maschera Eva Sgrò
organizzazione e comunicazione Julia Lomuto
progetto vincitore del bando Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura
spettacolo finalista DNA Appunti Coreografici
col sostegno di Fondazione Fabbrica Europa, CSC Centro per la Scena Contemporanea – Operaestate Festival Veneto, Romaeuropa Festival, Le Murate. Progetti Arte Contemporanea, spazioK_kinkaleri, Sosta Palmizi, Samotracia/Associazione Punto A Capo, Teatri Sospesi, CS376