Avere mani e accarezzarsi il viso

Al Teatro India per Romaeuropa Festival va in scena Io non ho mani che mi accarezzino il viso di Francesca Macrì e Andrea Trapani.

Il pezzo teatrale ha un titolo ispirato a una poesia di David Maria Turoldo e a una sequenza di fotografie di Mario Giacomelli, dedicate a scene di vita di giovani preti, intenti a fare girotondo, a correre alzandosi le sottane, a confessarsi segreti, a fumare (forse illegalmente). L’ambiente in cui galleggiano è in bianco e nero, con la luce bianca che fa pensare a un paradiso artificiale e grottesco, nonchP regredito a una infanzia innaturale.

Gli interpreti Aida Talliente e Andrea Trapani fondono insieme musica, suoni, testo e movimento sulla grande e impegnativa scena del Teatro India. A voci amplificate dal microfono succedono note sul pianoforte, sulle quali si appoggia il grido, la nevrosi, la disillusione per un mondo che si rivela virato al “nero” del male.

Luci riflesse e accecanti commentano a tratti una sorta di girone dantesco, forse una discesa agli inferi, sommersa da una sonorità elettronica assordante. Si succedono azioni drammaturgiche che si ispirano a Santa Giovanna dei Macelli di Brecht e a Woyzeck di Büchner. Una lontana serie di tavoli è la superficie su cui l’attore muove bamboline della Mattel, agitate come nelle ingenue rappresentazioni giocose dei bambini: il capitalista approfitta dell’operaio,questo – seppure avvertito da voci di scena – si lascia sedurre dalla tentazione demoniaca, avendone in cambio le poche briciole che cadono dal tavolo dei potenti.

Per gli autori si tratta di un viaggio nella fragilità umana, «la fragilità di chi – scrivono nelle note di regia – ha vissuto solo tra le pagine di un libro e quella di chi, sulle assi di un palcoscenico, ci mette la faccia». L’opera quindi è l’effetto di un contagio tra un personaggio teatrale e la propria biografia, senza sapere esattamente dove finisca il primo e inizi la seconda.

L’operazione riesce a stento a dare la sensazione di un fluido amalgama di senso, come un piatto troppo sapido, carico di sapori e di spezie, col risultato di saturare il gusto, aggredito in maniera aggressiva. L’azione vira troppo velocemente dal momento narrativo (la lettura poetica) al momento in cui gli strumenti dell’attore intervengono tutti e tutti insieme, ingolfando l’espressività. Un tale “piatto” teatrale farebbe pensare a un’ambizione che travolge la misura espressiva sia degli interpreti che della drammaturgia, alla cui sedimentazione per strati non segue una asciugatura che renda lo strale narrativo secco e ben indirizzato.

Il sentimento che scaturisce dalla performance sembra essere una disillusione rabbiosa contro l’evidenza di un mondo che gira nel verso sbagliato, a partire dal quale la forza della pièce non sembra andare al di là di un vago anelito ecumenico. Se tutti avessimo più fede nella speranza, forse questo mondo sarebbe migliore? Quasi sicuramente sì, tuttavia la fragilità non è un “resto” del bambino, come lascerebbero immaginare i preti di Giacomelli (uno stato naturale e perduto dell’esistenza), ma l’essenza dell’uomo che urta con un reale al di sopra della propria comprensione, di cui fa parte un “saperci fare” col male che non è possibile espungere fuori di sé.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Romaeuropa Festival
Teatro India
Lungotevere Vittorio Gassman 1, 00146 – Roma
1 – 2 novembre 2017, ore 21

Io non ho mani che mi accarezzino il viso
drammaturgia Francesca Macrì, Andrea Trapani
regia Francesca Macrì
con Aida Talliente, Andrea Trapani
collaborazione al progetto Aida Talliente
costruzione delle scene Teatro della Tosse
luci Gianni Staropoli
suono Umberto Fiore
direzione tecnica Massimiliano Chinelli
produzione Teatro dell’Elfo, Fattore K, Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse
collaborazione Armunia, La Città del Teatro di Cascina, La Corte Ospitale, Cie Twain Residenze, Teatri di Vetro
foto Andrea Trapani