Quando l’intelligenza femminile fa paura

Il Teatro Oscar festeggia il giorno dedicato alle donne con uno spettacolo che celebra la loro intelligenza: Ipazia. La nota più alta.

Scienza e religione. Da sempre l’uomo si divide nell’eterno conflitto tra ragione e fede. Alcuni affermano che i due aspetti siano conciliabili. Altri, invece, che l’uno smentisce l’atro. Ma la verità è che scienza e religione rispondono entrambe a istinti primordiali insiti nell’essere umano. La sete di conoscenza, la voglia di scoprire le leggi che governano il mondo, l’ostinazione nel cercare di prevedere cosa accadrà domani ci spingono a porci delle domande le cui risposte hanno un unico nome: il progresso. La paura di essere soli, il rifiuto della morte come semplice decomporsi del corpo, la ricompensa a tutte le pene subìte in vita ci spingono a credere in un disegno superiore di qualcuno (chiamato, a seconda del tempo e delle diverse fedi, in vari modi) che ci ama e che ci darà la salvezza.

Di Ipazia, filosofa, matematica e astronoma vissuta ad Alessandria d’Egitto nel IV secolo, si conosce ben poco. Le sue opere sono state sapientemente nascoste nelle pieghe della storia e l’unica cosa certa riguarda la sua morte prematura su un rogo. Già, perché quando a porsi delle domande, su ragione, fede o qualsiasi altro argomento è una donna le cose si complicano ulteriormente. Domande e risposte sono da sempre considerate prerogative maschili. Ipazia era una donna intelligente e curiosa, aperta al mondo e al cielo. Ostinata sia nella sua voglia di trasmettere conoscenza sia nel rifiutare di essere intrappolata nello stereotipo di moglie docile. A parlarci di lei sono alcuni storici suoi contemporanei: Socrate, Scolastico, Filostorgio, Sozomeno e Damascio. Decenni dopo hanno scritto su Ipazia scienziati e artisti: Pierre de Fermat, Chateaubriand, Voltaire, Proust, Toland, Fielding, Diderot, Leopardi, Monti, Pascal, Calvino, Eco. Dimostrazione, questa, della grandezza e della vivacità intellettuale della donna filosofa, astronoma e matematica.

I volumi della biblioteca di Alessandria, la più grande del mondo, sono stati salvati da un incendio di origine dolosa e trasportati in un luogo spazio-temporale dell’anno 2415. Oggi Ipazia, il cui nome si ispira alla nota più alta della scala musicale greca (da qui, il titolo della pièce), rivive nello spettacolo di Tommaso Urselli, interpretata con magistrale bravura da Maria Eugenia D’Aquino (da tempo e forse non a caso, impegnata anche nel progetto Teatro in Matematica).

Ad andare in scena però non è soltanto la donna che amava la filosofa e che per lei è morta. A prendere voce sono tutte quelle donne che la storia ha cercato, cerca e sempre cercherà di zittire. Perché la loro intelligenza fa paura al mondo.

Lo spettacolo continua:
Teatro Oscar
via Lattanzio, 58 – Milano
fino a sabato 17 marzo
orari: da martedì a sabato, ore 21.00; domenica, ore 17.00

Ipazia. La nota più alta
ideazione Maria Eugenia D’aquino
drammaturgia Tommaso Urselli
regia Valentina Colorni
con Maria Eugenia D’aquino
musica originale di Maurizio Pisati
scenografia Andrea Ricci
costumi Mirella Salvischiani, Alessandro Aresu
produzione PACTA . dei teatri – Progetto DonneTeatroDiritti e ScienzaInScena