Il processo della vita

Romanzo incompiuto di Kafka, Il Processo è la storia surreale di un uomo accusato, arrestato e processato senza un perché. Nelle mani dei ragazzi delle compagnie in residenza allo Spazio Mil, diventa metafora di vita.

“Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato”. Tutto ha inizio così, con un arresto basato sulla rivelazione di una colpa all’apparenza sconosciuta. Trent’anni, impiegato di banca fino a quel momento il Signor K. ha sempre pensato di “entrare nel mondo con venti mani” e di essere un uomo libero, intelligente e indipendente. Finché una mattina si ritrova in mutande davanti a due maschere. Comincia il processo (o forse sarebbe meglio dire il percorso), chiede, lotta, vuole sapere di quale colpa è accusato. Si dimena, trattenuto senza essere privato della libertà. Gira a vuoto tra il tribunale, lo studio dell’avvocato che dovrebbe difenderlo e i bar dove si rifugia, come una trottola imbrigliata nelle maglie di una burocrazia impenetrabile. “Per la verità la difesa non è consentita dalla legge, è solo tollerata”. Lentamente svuotato della sua linfa vitale si arrende.

Descritta così sembrerebbe una storia senza senso, paradossale, surreale e forse, anche un po’ banale. Ma Kakfa non è niente di tutto questo. Il regista Paolo Giorgio e i ragazzi delle compagnie BabyGang, Sanpapié e Band à Part lo sanno bene. Anche il pubblico, piano piano, acquisisce la consapevolezza di non trovarsi davanti a una semplice storia di malagiustizia. C’è molto di più.

La condizione umana che Josef K. vive è la condizione in cui tutti noi crediamo di trovarci. Pensiamo, anzi siamo convinti, di essere liberi, ci riempiamo la bocca con parole come giustizia, uguaglianza, diritti, equità sociale. “Non bisogna credere che tutto sia vero, bisogna credere solo che sia necessario”. Eppure ci sono dei piccoli, sfuggenti quanto preziosi, secondi in cui ci svegliamo dal torpore quotidiano, respiriamo, e improvvisamente capiamo. «Come devono essere stati umiliati». «Sì», disse l’uscere. «Sono imputati, tutti quelli che vede sono imputati». «Davvero?» disse K., «allora sono miei colleghi».

E se l’oggetto dell’accusa mossa a K. fosse K. stesso? Se l’oggetto dell’accusa mossa a K. fosse la sua incapacità di vivere consapevolmente? Il processo da atto giudiziario si trasforma in atto psicologico, in un disperato tentativo di porre l’uomo davanti alla sua esistenza, come se si guardasse per la prima volta allo specchio. E il punto diventa: avrà quest’uomo, il signor K., il coraggio di togliersi le vesti di semplice spettatore di un gioco condotto da altri e di attraversare quello spazio angusto (rappresentato dalla giustizia) che è destinato a lui? “Non se la prenda troppo a cuore Signor K.”. Degno atto conclusivo di un percorso durato tre anni, quello delle compagnie PUL, compagnie in residenza allo spazio MIL.

Lo spettacolo continua:
Spazio MIL / PUL – Compagnie in Residenza
via L. Granelli, 1 – Sesto San Giovanni
fino a domenica 4 dicembre, ore 21.00
 
K. Il Processo
dal romanzo di Franz Kafka
regia Paolo Giorgio
coreografia e movimento scenico Lara Guidetti
testi Carolina De La Calle Casanova e Sarah Chiarcos
con Federico Bonaconza, Linda Caridi, Francesca Debri, Mario Fedeli, Dario Merlini, Francesco Pacelli, Valentina Scuderi e Alessandro Vasta
musiche originali di Marcello Gori