A propria insaputa

All’Angelo Mai Altrove Occupato è protagonista Killing Desdemona, dubbia rappresentazione coreografica di una rilettura liberamente tratta dall’Otello di William Shakespeare.

Opera del Bardo tra le più celebrate e messe in scena, Otello è il dramma “per eccellenza” non tanto della gelosia e dell’amore, quanto della loro inscindibile relazione dialettica e se i “meriti” del suo successo sono molteplici, uno in particolare rivela come esso abbia superato il palco e sia migrato con straordinaria efficacia nella realtà, giungendo dal teatro alle coscienze individuali e collettive.

Volente o nolente, infatti, la paranoia sentimentale del moro, la tragica morte dell’innamorata Desdemona e la machiavellica depravazione di Jago, dunque il lato oscuro della passione amorosa che travolge il partner senza possibilità di confronto e rispetto, sono tutti elementi che testimoniano il potere dell’arte e di come – nonché quanto – un singolo atto culturale abbia potuto concorrere a influenzare e orientare le epoche a venire sul sentiero di uno specifico immaginario simbolico e concettuale. Il riferimento è a quel contrappunto scespiriano tra la nerezza di Otello e il candore di Desdemona che tutt’oggi viene assunto per giustificare l’intima essenza manichea di chi è amante e, secondo il quale, sarebbe naturale e normale che ad accompagnarsi all’amore non sia il cor gentile, ma sofferenza e mancanza di fiducia, gelosia e possesso, ossia il desiderio che scavalca e si impone su chi è oggetto ma non soggetto d’amore.

Perché mutare il titolo da Otello a Killing Desdemona, riproporne il dramma senza alcuna significativa variazione nella narrazione o nell’impianto se non per decostruirne, sublimarne o trasfigurarne l’intenzione in una restituzione (in questo caso coreografica mista) in grado di disvelarne una sfumatura contenuta in nuce e magari considerata attuale?

Riproponendo la nota storia all’interno di un’ampia scena, amplificata da microfoni, costeggiata da due file laterali di sedie e con sullo sfondo una piattaforma percorribile sovrastata dalla raffigurazione dall’omicidio di Desdemona, Balletto Civile accoglie le volontà del Bardo trattando le questioni dell’amore, della gelosia e dell’onore proprio per declinarle all’interno dea suggestiva rilettura contemporanea: quella della prevaricazione del maschile sul femminile, così danzando. Killing Desdemona va anche oltre nel momento in cui intende rappresentare non tanto il dissidio sentimentale o interiore di un uomo, quanto Marte che violenta Venere, in altre parole non mettendo «in scena il dramma della gelosia, ma l’interruzione di una sensibilità altra, poetica, fisica, musicale, femminile».

La scelta della tematica, la cui urgenza è testimoniata dalle cronache di tutti i giorni ed è spesso associata al neologismo femminicidio, ci si aspettava potesse costituire un ulteriore “merito” e soprattutto un vantaggio preventivo per la riuscita della performance, se non fosse che l’impostazione di Killing Desdemona si è rivelata essere palesemente contraddittoria rispetto alle proprie premesse. La sua stessa realizzazione, inoltre, è risultata in gran parte lacunosa sia dal punto di vista interpretativo con i corpi dei danzatori incerti nel divenire protagonisti assoluti della tragedia (e non solo per la presenza di ampi stralci verbali che avrebbero necessitato di ben altre interpretazioni per non apparire stucchevoli e inadeguati commenti ai momenti di danza), sia da quello prettamente coreografico per l’estrema pesantezza didascalica – riscontrabile fin dalle primissime scene iniziali di passione tra Otello e Desdemoda – e in una anomala sensazione di inutile complessità sovrastrutturale o simbolica (microfoni, pedana, costumi).

Nonostante il feeling tra gli interpreti, la dinamica coreografica è apparsa spesso ripetitiva, poco fluida e incapace, a causa della precaria organicità della successione dei quadri, di provocare un credibile e significativo climax emotivo, lasciando così arrancare Killing Desdemona al di qua della dimensione prettamente narrativa e nell’essere mai in grado di lasciar eccedere in potenti immagini ballate la propria pure evidente tensione fisica ed emotiva. Tuttavia, è stata la sua precaria coerenza a disvelare il problema di fondo di questo allestimento per svariati motivi, che vanno ben oltre le incomprensibili note di regia (il «cast per lo più al maschile intorno ad una fragilissima donna» è in realtà composto da quattro uomini e tre donne). A sconfortare sono stati infatti la reazionaria chiusura identitaria contro chi stranieroquando lo spazio privato, intimo diventa pubblico, lì il nostro io profondo deve essere difeso preservato»), una visione sommariamente unilaterale dell’universo maschile («tutti i personaggi maschili […] vogliono esercitare il loro potere su Desdemona e sul suo corpo»), un motore scenico centrato abbastanza canonicamente sul malefico Jago («un conquistatore […] entra per distruggere per disilludere […] one man show senza quarta parete […] dialoga con il pubblico»), personaggio di cui le stesse note attribuiscono il ruolo di «veicolo che […] crea la possibilità della storia […] fino a trasformare l’etica in estetica del male». Il problema della coerenza è riscontrabile in modo particolarmente palese nella stessa considerazione del femminile, di una donna – Desdemona – piegata al soliloquio di genere (il «semplice accudire come contenitore di senso al di là delle parole […] unica sapienza antica nostro malgrado») e modellata sull’esempio della santa Goretti come modello virtuoso dello stare al mondo («l’intangibilità del corpo di Desdemona che corrisponde alla sua purezza è l’unica risposta che il dramma può offrire di fronte all’incalzare del caos»), la quale dovrebbe evitare di provocare colpevolmente il mostro che per natura – quasi senza che lui ci possa far nulla – abita l’uomo.

Dunque, è un clamoroso ribaltamento dell’auspicato protagonismo artistico e antropologico del femminino – che pure sarebbe dovuto essere alla base di Killing Desdemona – a manifestare la limitata comprensione da parte di Balletto Civile di una millenaria questione di micropotere non banalmente riducibile a una semplice concezione di genere e di un fenomeno purtroppo ben più complesso della semplice opposizione tra donna e uomo e della loro identificazione, rispettivamente, con vittima e carnefice.

Ipotizzando che l’essere femmina o maschio tout court possa aprioristicamente determinare quella distinzione (tra vittima o carnefice), Killing Desdemona ignora del tutto l’influenza esercitata nella società occidentale da sovrastrutture patriarcali che non risolvono i dispositivi di coercizione sul femminile semplicemente nel maschile, ma che chiamano chiunque alla propria parte di responsabilità. Chiamata che ovviamente non vorrebbe affatto negare statistiche oggettive e impietose nel dimostrare la sistematica quantità di sofferenza e violenza esercitata dagli uomini sulle donne allo scopo di sottometterle psico-fisicamente (arrivando anche fino alla morte), ma che, anzi, risulterebbe funzionale ad ampliare e radicalizzare con onestà l’attenzione sul problema di come sia una pia illusione pensare di esserne immuni solo perché donne o uomini illuminati e, di conseguenza, ad agire e proporre efficacemente delle alternative.

Ma l’incomprensione mostrata da questo allestimento è forse ancora più profonda dal momento che mette a disposizione del maschio addirittura la possibilità di un orizzonte autoassolutorio. In Killing Desdemona, il Maschio non risulta “autenticamente” colpevole delle proprie abitudini perché da sarebbe incapace di comprendere «una sensibilità che è difficile spiegare, che sta all’origine del mistero e dell’atto vero e proprio del creare» e che per questo – e non per l’assenza di un diffusa e autentica cultura del rispetto e dell’umanità –  «produrrà sempre azioni di distruzione da parte del mondo maschile che lotta per comprenderla, per possederla, che quando non può averla la annienta».

Un uomo, insomma, quasi da compatire, femminicina suo malgrado – perché fatto così – di una donna vittima che, per natura o peccato originale, sembra fatalmente destinata a dover soccombere.

Lo spettacolo è andato in scena
Angelo Mai Altrove Occupato

Viale delle Terme di Caracalla 55a
16, 17, 18, 19 novembre
ore 20.45

Balletto Civile presenta
Killing Desdemona
liberamente tratto da Otello di W. Shakespeare
ideazione Michela Lucenti e Maurizio Camilli
regia e coreografia Michela Lucenti
assistente alla regia Enrico Casale
musica originale eseguita dal vivo Jochen Arbeit (Einstürzende Neubauten)
interpretato e creato da Fabio Bergalio, Maurizio Camilli, Andrea Capaldi, Ambra Chiarello, Michela Lucenti, Demian Troiano, Natalia Vallebona
scene Alessandro Ratti
costumi Chiara Defant
disegno luci Stefano Mazzanti
suono Tiziano Scali
acting coach Francesco Origo
organizzazione Andrea Cerri
una produzione Balletto Civile
coprodotto da Festival delle Colline Torinesi, Ravello Festival, Neukoellner Oper Berlin, Compagnia Gli Scarti
con il sostegno di Mare Culturale Urbano, CTB Centro Teatrale Bresciano, Festival Resistere e Creare, Centro Dialma Ruggiero-FuoriLuogo