Domani è un altro giorno?

Torna L’Opera da tre soldi al Teatro Giglio di Lucca: domande senza tempo per risposte al di là della contingenza.

Esistono opere capaci di rispecchiarsi brillantemente in ogni tempo, o contesto, senza perdere mai la propria modernità o risultare obsolete.
Questo il caso de Die Dreigroshenoper (L’Opera da tre soldi) che, a più di ottant’anni dal debutto berlinese, continua ad accreditarsi l’ammirazione del pubblico: che sia anche “merito” dell’attuale aria di crisi, che idealmente richiama l’atmosfera in cui l’opera nacque?
Crisi oppure no, tra il 25 e il 26 febbraio, il Teatro del Giglio di Lucca ha offerto agli astanti alcune ore (tre) di svagata riflessione, mettendo in scena la statira sociale brechtiana.
Dignitosamente interpretato dagli artisti del progetto LTL (Laboratorio Toscana per la Lirica) Opera Studio, lo spettacolo si è giovato della regia di David Haughton, che gli ha conferito qualche sagace ritocco dai toni palesamente provocatori. Si consideri, ad esempio, lo stacco di un secolo che suddivide i tre atti, come un sorta di filo conduttore posto a simboleggiare l’immutabilità del degrado umano. Così, mentre per i personaggi non trascorrono che tre giorni, davanti agli occhi del pubblico sfilano tre secoli, ciascuno caratterizzato dalla propria moda, dai propri mezzi e dal proprio clima, ma tutti ugualmente connessi da quel senso di collasso sociale che nel teatro di Brecht riesce ad assumere quasi un’identità primordiale.
Nel protagonista, Mackie, autentito anti-eroe, lo spettatore incappa nel dubbio: condannarlo o lasciarlo impunito? E questa è forse una delle massime peculiarità del drammaturgo tedesco: l’abilità magistrale con cui riesce a capovolgere i preconcetti di Bene e Male, finché il ruolo di vittima non ricade sul fuorilegge e quello di carnefice su chi detiene la giustizia (si veda la proficua amicizia che lega Mackie a Jackie “Tiger” Brown, l’ispettore corrotto: il denaro di uno per la protezione dell’altro).
Commedia del sottoproletariato, L’Opera da tre soldi (così intitolata per indicare provocatoriamente il prezzo del biglietto all’epoca della prima) mette in scena gli strati più bassi della società – composta sì da borghesi, clero, sovrani e onesti mercanti, ma anche da ladri, assassini, truffatori, sgualdrine. I personaggi di Brecht applicano alla vita un punto di vista prettamente pratico: la moralità è un lusso per pochi, la virtù o l’onestà un optional. Ciò che conta è tirare avanti e su questo concetto si dipana l’intera vicenda, in un mix di tradimenti, turpitudini, inseguimenti e fughe rocambolesche, il tutto orchestrato dalla maestria melodica di Kurt Weill, che ebbe più volte l’occasione di collaborare con Bertolt Brecht. E proprio sul suo reprertorio musicale, diretto da Nathalie Marin, L’Opera da tre soldi continua ad attualizzare il proprio messeggio. C’è tutto: melodramma, cabaret, tango, lirica. Come se la commedia includesse in sé ogni tempo, ogni rango, ogni etnia. E cos’è, questo, se non un ulteriore ammonimento sull’immortalità – e sull’immobilità? – di certe condizioni sociali?
Sempre bellissimo il brano d’introduzione, La ballata di Mackie Messer (Die Moritat Von Mackie Messer), intrepretato da Salvatore Terrazzino. Alquanto ironica, invece, la fama del pezzo che fu scritto e inserito nell’Opera unicamente per mettere a tacere le proteste di Harald Paulsen, primissimo interprete del ruolo di Mackie, che riteneva il suo personaggio mal presentato. Buon soprano Sabrina Bessi (nel ruolo di Polly), nell’esecuzione di Jenny dei pirati – che esprime sottilmente le istanze di ribellione sociale della donna. Apprezzabile anche Alessandra Micheletti (nei panni di Jenny), malgrado la tenuta della voce non sia stata sempre all’altezza, in particolare nella Ballata di Re Salomone – altro testo emblematico che avrebbe meritato un’esecuzione più accurata. Quanto alla recitazione, si sono rivelate convincenti le interpretazioni di Gheorghe Palcu e Lauren Cifoni – nelle vesti dei coniugi Peachum – perennemente a cavallo tra truffa e moralità (da notare come il signor Peachum, scaltro ricattatore, non si trovi mai a corto di citazioni bibliche).

Di particolare impatto l’allestimento: la tecnica adottata da Haughton, infatti, è in perfetto accordo con la teoria brechtiana del “teatro epico”, che impone una rottura in quel velo illusorio che si frappone tra la farsa interpretata sul palco e la realtà vissuta dal pubblico. Lo scopo dell’autore, il cosiddetto “straniamento” – di cui Brecht si serviva per impedire agli spettatori di perdere il contatto con quanto li circondava, diventando soggetti passivi che si abbandonano all’illusione e si riconciliano acriticamente, nella catarsi finale, con una realtà fittizia – è stato perseguito con maestria dal regista: le vicende salienti dell’Opera sono annunciate solennemente dal narratore che interagisce direttamente con gli spettatori e altrettanto fanno i personaggi durante i brani di chiusura, volgendosi verso la platea; la musica rompe la continuità temporo-lineare del testo; lo stesso Mackie affida a essa il proprio testamento spirituale, mentre gli attori abbandonano il palcoscenico – in un passaggio che squarcia del tutto il velo dell’illusione – per poi sedersi tra gli spalti dell’orchestra, trasfromandosi a loro volta in pubblico. Finzioni nella finzione.
Significativo il finale, provocatorio nella sua impossibilità, di cui Brecht si serve per dipingerci un’utopia, un idillio possibile unicamente dietro un sipario («almeno sul teatro una volta/la pietà sulla legge ha trionfato!»). Proprio in questo scenario conclusivo, l’artificiosità de L’Opera da tra soldi si manifesta appieno, mentre una voce, quella del coro, incoraggia gli astanti a non giudicare il peccatore ma a battaersi contro le ingiustizie del sistema. E quest’ultima affermazione è l’unico barlume di speranza in un testo dominato dal pessimismo: amara riflessione di un autore che ha saputo captare meglio di altri il senso del degrado, la minaccia del capitalismo, la condizione del miserabile che, per sopravvivere, è obbligato a «dimenticare d’esser uomo».
Spettacolo arguto, L’Opera da tra soldi maschera dietro immagini popolari, estreme, talvolta grottesche e paradossali, il proprio intento principale: quello di concedere al pubblico il distacco da ciò che è la commedia, di non “irretirlo”, di offrirgli la libertà di assumere un atteggiamento critico, di renderlo quasi il vero protagonista della rappresentazione. E tra richiami agli scenari di Charles Dickens, alla poesia di François Villon (la richiesta di perdono del condannato Macheath rimanda alla sua famosa Ballata degli impiccati) e alla immuatata e immutabile situazione della società, ecco dunque lo stesso concetto di teatro trasfigurarsi radicalmente.

Lungo applauso, alla faccia del degrado sociale.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro del Giglio

piazza del Giglio, 13/15 – Lucca
sabato 25 febbraio, ore 20.30 e domenica 26 febbraio, ore 16.00

L’opera da tre soldi
(Die Dreigroschenoper)
dramma in un prologo e tre atti su libretto di Bertolt Brecht
musica di Kurt Weill

direttore Nathalie Marin
regia David Haugthon
Orchestra della Toscana
con Elisa Barbero, Sabrina Bessi, Enrico Bindocci, Elena Bresciani, Stefano Cianci, Giampiero Cicino, Lauren Cifoni, Emanuele Cordaro, Andrea Del Piccolo, Eugenio Di Lieto, Giovanni Di Mare, Maria Claudia Donato, Silvia Faugno, Riccardo Fioratti, Emanuela Grassi, Alessandra Micheletti, Claudia Elena Muntean, Gheorghe Palcu, Italo Proferisce, Claudia Sasso, Salvatore Terrazzino, Luca Tiddia, Valentina Verna e Blerta Zhegu
La scelta degli interpreti, che si alterneranno nelle varie recite, è il risultato del Laboratorio L.T.L. Opera Studio 2011
Nuovo allestimento del Teatro C. Goldoni di Livorno
Coproduzione Progetto L.T.L. Opera Studio