Shakespeare gitano

Al Teatro Quirino una Bisbetica domata come non l’avete mai vista: uno Shakespeare scatenato e trascinante

La Bisbetica domata è una delle opere più rappresentate di Shakespeare. E considerando che la qualità del testo è direttamente proporzionale alla sua difficoltà lascia stupiti notare il numero di rappresentazioni sempre maggiore che viene fatto dell’opera. Non vi è compagnia teatrale, magari anche alle prime armi, che non abbia stabilmente inserito il titolo nel proprio repertorio. Eppure, tra le tante edizioni sono poche quelle che si ricordano per la loro riuscita e soprattutto per la loro aderenza al testo. Perché se si dovesse stilare una classifica delle opere più adattate, attualizzate e addirittura modificate, La Bisbetica domata figurerebbe certo tra le prime posizioni e le ragioni sono presto dette. Costituita da un prologo, una parte centrale (nettamente divisa in due parti) e un epilogo è una commedia che ragiona per sezioni: sia nelle situazioni che nel progressivo sviluppo psicologico dei personaggi è ravvisabile una sorta di schematismo che, lungi dal facilitarne la comprensione, rende lo svolgersi della vicenda complesso nel suo essere così sovraccarico di fatti e discordanze. Ed ecco che, come spesso avviene, la maggior parte dei registi non resiste alla tentazione di spostare cronologicamente ognuna di queste sezioni polverizzando ogni coordinata spazio-temporale e agendo nell’arbitrarietà più assoluta. Ora, i risultati sono di due tipi: quando il testo cade sotto la libera interpretazione di un regista conscio dei rischi che l’operazione comporta – ma comunque supportato da una conoscenza assoluta sia del testo che del suo reale significato – può capitare che si presentino allo spettatore intuizioni e sensi che non aveva neanche lontanamente immaginato. E allora la rilettura dell’opera ha un suo perché, e iniziative di questo genere vanno pure incoraggiate. Quando invece a dettare l’azione sono ragioni puramente estetiche, o il capriccio dell’originalità a tutti i costi, non emergerà soltanto l’incompetenza di chi le promuove, ma tutto quel lavoro di squadra che è il meraviglioso mondo del teatro sarà vanificato a priori, e nessun attore, costumista o scenografo riscatterà una messa in scena che ha tradito (o non compreso) le intenzioni dell’autore. La Bisbetica domata andata in scena al Teatro Quirino con la regia di Armando Pugliese si pone a metà tra questi due estremi. L’ambientazione varia dallo sfondo cinquecentesco di Prologo ed Epilogo al mondo futurista della finta rappresentazione teatrale che costituisce il fulcro della commedia. Al suo interno trova spazio un ambiente surreale, colorato, si direbbe quasi psichedelico, dove i personaggi indossano improbabili parrucche viola, si muovono, corrono, si azzuffano con foga schizofrenica seguendo i rituali di una danza zigana. Perché tra le curiosità del cartellone figurano proprio le musiche composte da Goran Bregovic, il musicista serbo abituale collaboratore di Emir Kusturica. Per capire la messa in scena di Pugliese è necessario tenere bene a mente questa collaborazione. I brani di Bregovic, cui spetterebbe lo status di vero e proprio personaggio più che di semplice commento musicale, hanno influenzato in maniera determinante la concezione di Pugliese: dai costumi alle scenografie e alle coreografie si respira fortissimo l’odore di una rappresentazione improvvisata tipica di una compagnia di girovaghi gitani. Shakespeare e Bregovic, teatro elisabettiano e musica zingaresca: sulla carta un azzardo rischioso, sulla scena un contrappunto inaspettatamente azzeccato e funzionale. Questo perché La Bisbetica domata si presta a un simile gioco di mescolamento, perché l’ironia e il ritmo che l’attraversano hanno gioco facile nel fondersi felicemente col carattere rapsodico della musica di Bregovic. Fin qui la parte più riuscita della regia di Pugliese. Tolto questo bisogna dire che il cambiamento d’epoca nulla toglie e nulla aggiunge alla commedia, non offre spunti di riflessione sul nostro tempo – al contrario, il tema dell’istituzione matrimoniale è per noi uomini del nuovo millennio un fatto ormai quasi anacronistico – né perciò contribuisce a rendere Shakespeare più attuale. Insomma la produzione di Pugliese è riuscita soltanto a metà. Una produzione tutta incentrata su una primadonna assoluta: Vanessa Gravina. Quest’attrice che da anni si divide tra televisione, cinema e teatro sta negli ultimi tempi costruendosi una rispettosa reputazione di animale da palcoscenico. Caterina, donna altera, viziosa, disobbediente, ma infine saggia e umile si presta particolarmente alle doti recitative della Gravina.
Cosa resta allora che lascia insoddisfatti? Scelta registica, si capisce, non azzeccatissima è stata quella di rendere in maniera monocorde un carattere che invece possiede infinite sfaccettature (si consideri che siamo in presenza di uno dei personaggi più complessi di tutto il teatro shakespeariano). Per due terzi dell’opera Pugliese la fa girare per il palcoscenico con tanto di frustino in mano – puntualmente, e a lungo andare banalmente, schioccato a terra a ogni singola battuta – cui sono associati assurdi pantaloni da cavallerizza. La Gravina possiede tutto, non le manca nulla. Eppure, fin dal suo comparire, mai un gesto, mai un accento differisce dall’altro, mai un movimento fisico si caratterizza diversamente da quello che lo segue. Persino nel grande monologo finale – che pure ha scatenato un applauso a scena aperta – non è mancato un pizzico di monotonia che non ha reso appieno la geniale contraddizione del carattere di Caterina, creatura dalle mille contraddizioni che non ha niente da invidiare a un Amleto o a un Re Lear (ma che, a differenza di questi fratelli maggiori, con quanto poco timore, con quanta superficialità viene affrontato dai registi di oggi!).
Riuscitissimo invece il Petruccio/Sly di Edoardo Siravo, simpatico, eccessivo, astuto: un vero “briccone” elisabettiano che non sfigurerebbe nel ruolo di Puck nel Sogno di una notte di mezza estate. Lo stesso dicasi per il resto della compagnia in cui spicca la coppia Lucenzio/Tranio interpretati da Maurizio Tomaciello (autentica faccia da caratterista cui non è difficile predire un successo sulla stessa strada di Siravo) e Stefano Bianchini che è stato la vera sorpresa della serata: meno spumeggiante, per necessità di copione, degli altri ma abilissimo nel mantenere il personaggio del servo sospeso a metà tra l’astuzia e la malinconia, sempre presente ma mai protagonista, imponente ma senza scavalcare gli altri. Una qualità che i suoi colleghi farebbero bene a tenere sempre a mente.

Lo spettacolo continua:
Teatro Quirino
via delle Vergini, 7 – Roma
fino a domenica 18 dicembre
orari: da martedì a venerdì ore 20.45, sabato ore 16.45 e ore 20.45, domenica ore 16.45, mercoledì 14 ore 16.45 (lunedì riposo)
(durata 2 ore e un quarto circa intervallo incluso)

La Bisbetica domata
di William Shakespeare
adattamento e regia Armando Pugliese
con Vanessa Gravina, Edoardo Siravo, Carlo Di Maio, Vito Facciolla, Alberto Caramell, Elisabetta Alma, Emanuela Trovato, Gianluca Enria, Stefano Vona Bianchini, Maurizio Tomaciello, Valentina D’Andrea, Giulio Farnese
musiche Goran Bregovic
scene e costumi Andrea Taddei