Como, Teatro Sociale: la Spellbound Dance Company incontra Vivaldi, e insieme partono alla riscoperta dell’alternarsi delle stagioni, in natura e nell’animo. Settanta minuti di danzante armonia tra luci, suoni e proiezioni. E una casa.

Prima di tutto, in tutto, l’armonia. Nella scena, spoglia ma suggestiva, sbilanciata tra la solidità di una costruzione pesante, vera e bianca, e il vuoto, denso di fumo e di attesa; sbilanciata e allo stesso tempo perfettamente in equilibrio, con proiezioni che smaterializzano e ampliano ciò che di concreto c’è, e le bellissime luci che annullano, colmandolo di senso, il vuoto, mentre i corpi coi loro movimenti uniscono i due spazi e li vivono, riempiendoli.

Armonia tra i corpi e la scena, quindi, ma anche tra un corpo e l’altro, tra i danzatori, che sembrano aver smussato gli angoli delle loro differenze tecniche ed espressive per diventare, insieme, le parti ben amalgamate di una sola immagine, di un solo quadro. Armonia tra le musiche, anche, tra quelle di Vivaldi, forse ormai – unica inevitabile pecca – troppo inflazionate e quelle originali di Luca Salvadori, fatte di silenzi, suoni della natura, sonorità elettroniche astratte e voci di strumenti insoliti, a creare, citando lo stesso Salvadori: «Un caleidoscopio di situazioni che si uniscano, di volta in volta, sotto l’etichetta di una stagione per offrire una chiave di lettura parziale, evocativa più che esplicativa».
Armonia, infine, tra un movimento e l’altro, tra un passo di danza e quello successivo, tra una figura e quella che la segue, a partire dai dettagli, dai micro-movimenti, fino ad arrivare a coinvolgere l’intera performance, così che il passaggio da una stagione all’altra non è mai netto, brusco, e seppur chiarissimo ed evidente, avviene con una gradualità impercettibile, con la naturalezza che è propria, appunto, dei reali cambiamenti di stagione.
I minuti scorrono, l’armonia e la bellezza riempiono il palco, le luci e la posizione della costruzione bianca cambiano, le proiezioni si susseguono e la danza e la musica si completano a vicenda; eppure l’emozione non scatta. Qualcosa manca, se ne avverte l’assenza, a tratti, pur non arrivando a capire cosa sia.
Poi, all’improvviso, la svolta, il momento in cui la freddezza si scioglie, e finalmente comunica ed emoziona, mettendo in atto tutta la potenziale espressività contenuta nella prima parte: un semplice tango, visto attraverso la finestra della costruzione rotante che ormai rivela quello che è, lo scheletro completo e stilizzato di una casa. Un ballo di coppia che a tratti invade il palco, lo occupa, per poi tornare al chiuso, al sicuro, nella casa, mentre la proiezione, fissa, enfatizza l’umanità del momento. I danzatori, ora, fanno gli umani.
Non più fiori, gocce, erba, non più natura, che seppur perfettamente interpretata, rimaneva fredda, come se gli stessi ballerini non intuissero completamente il senso di quello che stavano evocando. Nella rappresentazione di un semplice momento sociale, finalmente, l’emozione scorre.
Da qui, è un crescendo. I momenti in cui i corpi, esplorando tutti i possibili intrecci, diventano frammenti di natura, cose senza emozione quindi, si alternano vorticosamente (ma sempre con armonia) a quelli in cui ritornano ad essere persone, contenitori di sensazioni, affetto, amore, attrazione. È incredibile vedere come i corpi cambino completamente quando comunicano una percezione sensoriale, il vissuto della natura nel trascorrere delle stagioni, rispetto a quando, caldi e vibranti, raccontano emozioni umane. Così, tutta la freddezza prende senso, anche quella iniziale. Quello che mancava, era l’umanità. Nonostante la bellezza e l’armonia della natura, se a viverla non c’è l’essere umano, la sua presenza, anche solo il suo sguardo, il suo punto di vista, l’emozione non nasce, non cresce, non scaturisce.
Dalla primavera si passa all’estate, poi alla bellissima danza delle foglie autunnali nel vento, e intanto gli esseri umani, le persone, vivono, si muovono in bilico tra l’istinto (il richiamo della natura, della naturalezza) e la società – la casa. Dopo l’autunno arriva l’inverno, mentre i filmati, nonostante la grande caduta di stile nella scena della ballerina proiettata, continuano ad esplicitare le immagini che i ballerini evocano senza mai cadere nella ripetitività di uno schema banale; i costumi cambiano, ma restano sempre abiti comuni (bocciate le giacchette invernali e discutibili le gonnelline primaverili), a sottolineare ancora una volta il contrasto uomo – natura, e la casa, dopo le tante giravolte, arriva a trovarsi nella sua posizione naturale.
Nello stupore di un finale inaspettato, un pensiero: è uno spettacolo da vedere, da rivedere, e poi vedere ancora.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Sociale

via Bellini, 3 – Como

Le quattro stagioni
danzatori Sofia Barbiero, Maria Cossu, Alessandra Chirulli, Mario Enrico D’Angelo, Gaia Mattioli, Giuliana Mele, Marianna Ombrosi, Michelangelo Puglisi, Giacomo Todeschi
coreografia e set concept Mauro Astolfi
regia multimediale Enzo Aronica
light designer Marco Policastro
musiche Antonio Vivaldi
musiche originali Luca Salvadori
assistente alle coreografie Beatrice Bodini
realizzazione scene Esse A Sistemy
produzione Spellbound Dance Company nell’ambito di ComOn – La settimana della creatività