La Gioconda è nuda

Un interessante quadro leonardesco raffigura una donna senza veli nella medesima posa della Monna Lisa.

Una donna è seduta, girata di tre quarti verso un interlocutore immaginario, ha i capelli riccioli trattenuti da una treccia, qualche ciocca, sfuggita alle rigide regole dell’ordine femminile, scivola parallela alle gote fin sotto le orecchie. L’incarnato ha una corporeità morbida, la pelle è levigata e resa palpabile dal gioco di chiari e scuri. Lo sguardo è ammiccante, seducente, magnetico, quasi a voler attirare su di sé gli sguardi altrui per non lasciarli vagare verso ciò che rimane al di sotto di quegli occhi fissi. La donna, infatti, è colta nella sua nudità, nelle spalle cadenti che incorniciano i seni, le mani incrociate e le gambe accavallate. Così raffigurata non mostra ritrosia dinanzi a quello sguardo tanto indiscreto, quanto piuttosto un orgoglio sostenuto, la coscienza di essere lì come effigie di una bellezza ideale, intangibile all’uomo.

Ecco come appare la Gioconda di Palazzo Primoli, realizzata forse da Leonardo, forse dal suo allievo prediletto, il Salai, forse da altri allievi della bottega del genio di Vinci. La Monna Vanna – così si chiama la donna che possiamo ammirare – è il dipinto più discusso di Gian Giacomo Capriotti, soprannominato da Leonardo il Salai, il “diavolo”, dal nome di quel sultano Saladino che tanto filo da torcere aveva dato agli eserciti cristiani, e sembra essere stata realizzata insieme al maestro, la cui mano si può scorgere nel motivo vegetale della spalliera alla quale si appoggia la donna. Un vero diavolo scatenato doveva apparire il Capriotti, giunto a dieci anni nella bottega, facendo dannare il maestro sin da subito con le sue più o meno lievi marachelle. Comunque ben presto il Salai divenne l’allievo favorito, e qualcuno ha anche sostenuto che fosse lui il modello della celebre Gioconda.

Le teorie sulla Monna Lisa per la loro incertezza non possono essere prese come punti di riferimento, ma rimane il fatto che la Gioconda di Palazzo Primoli ha una fisicità che può essere accostata senza forzature a quella dell’androgino. La delicatezza femminea è visibile nel seno e nei tratti delicati del volto, ma provate a coprire questi due elementi. Considerate il resto del corpo: le braccia sono muscolose e prive di grazia, il ventre, quasi scolpito, è lontano dalla morbidezza in carne delle raffigurazioni coeve. Insomma, queste membra sono membra d’uomo. Alcuni hanno sospettato che il modello sia stato il Salai stesso e che Leonardo avrebbe voluto proiettare nel dipinto le sue tendenze omosessuali e l’amore nutrito per l’allievo.

Qui lasciamo da parte le dietrologie e limitiamoci a contemplare la bellezza armonica delle due sessualità fuse in uno stesso corpo. Platone sosteneva che la divinità invidiosa aveva scisso l’uomo, nato androgino, in due parti, maschile e femminile, costringendo ciascuna di queste a cercare la sua metà per tutta la vita nel tentativo di ricostituire l’unità originaria. Ecco, guardiamo la Gioconda Primoli: forse l’androgino era fatto così.

Insieme alla Gioconda nuda è esposta anche una copia del Trattato della pittura di Leonardo, redatto a Celano, nell’attuale provincia dell’Aquila, come si evince dal disegno che compare in filigrana sulle pagine. Chiude la mostra una grande grafica di De Carolis per la prima teatrale della Francesca da Rimini dannunziana. La presenza di D’Annunzio rimanda al celebre furto della Monna Lisa, avvenuto in Francia nel 1901: il Vate, allora riparato ad Arcachon, nei pressi di Versailles, per sfuggire ai creditori, venne a conoscenza del furto che ispirò lo scritto L’uomo che rubò la Gioconda, redatto da D’Annunzio durante l’esperienza fiumana.

La mostra è in corso:
Palazzo della Provincia di Pescara, Sala Tinozzi
Piazza Italia, 1 – Pescara
fino a venerdì 30 settembre

La Gioconda nuda
curatore Vincenzo Centorame