La fatalità dell’apprendere

La Leçon di Eugène Ionesco, una delle pièce più famose del drammaturgo rumeno naturalizzato francese, ha rappresentato l’atto conclusivo dell’importante stagione teatrale del TNP di Villeurbanne. Una scelta che ripensa le categorie dell’assurdo e del potere all’interno di una comicità drammatica.

Eugène Ionesco ha definito La Leçon come un “dramma comico”: un evidente ossimoro che non è possibile semplicemente spiegare ma che è necessario attraversare con lo sguardo e con il corpo. Se sulla scena si svolge un’assurda lezione privata, il pubblico vive inizialmente ignaro della violenza sulla quale questo indottrinamento andrà germogliandosi. Come è ignaro del potere tranchant del proprio riso: ogni volta che si è spinti alla risata, una pugnalata viene affondata alla cieca nella carne stessa dell’opera. E con il passare di minuti, l’obiettivo terminale e inatteso si farà più chiaro e terribile.

In un elegante appartamento parigino la governante (Yves Bressiant) sta riassettando il soggiorno, quando qualcuno suona alla porta. Si tratta di una giovane allieva (Jeanne Brouave) che ha appuntamento con il professore (René Loyon / Robin Renucci) per una lezione privata. Questa lezione si pone come la prima di una lunga serie poiché la ragazza, spinta dalla propria famiglia, ha deciso di intraprendere uno studio molto ambizioso. Quello del “dottorato totale”. L’inesistenza di un tale titolo di studio va di concerto con l’esagerazione costante e con l’assurdità della situazione. Il professore testa fin da subito la conoscenza della ragazza e, nonostante questa sia estremamente scarsa, il luminare decide di installare un clima bonario, fatto di complimenti e di comprensione.

Il regista Christian Schiaretti concepisce la pièce seguendo la radicalità di Ionesco. Uno spazio arioso che si sviluppa in un’orizzontalità aperta diventa, con il passare dei minuti, un luogo senza vie di fuga, fino a diventare soffocante, a causa della volontà di soppressione del professore. Un’ideale linea di fuga diviene così luogo d’incaglio, dove l’essere non può vivere e può andare incontro solamente alla propria fatalità. Una scenografia minimalista accoglie al proprio interno il sapere simboleggiato da pile di libri e di fogli, torri di conoscenza che fanno da spartiacque tra la scena e il pubblico.

L’atto unico de La Leçon non elabora colpi di scena o movimenti bruschi della propria narratività. La pièce è una lenta discesa agli inferi, un piano leggermente inclinato che accompagna il percorso della giovane dalla speranza alla soppressione. Quasi annegata in una serie di situazioni assurde e comiche, la storia tende a colorarsi di una violenza puramente sapienziale: il potere professorale, quello del sapiente, non può essere messo in discussione ed esso necessita della presenza di corpi, di luoghi nei e sui quali attivare una pura violenza.

Passando attraverso l’insegnamento della matematica, della filologia e della letteratura comparata, il professore si concede il privilegio di sovvertire il sapere esterno per installare il proprio: una conoscenza che si fa un baffo della verità e che impone la propria legge del rigore e dell’impossibile. La giovane viene quindi messa fuorigioco dall’atto pedagogico per scivolare, accompagnata dalle risate del pubblico, in un sadismo totale, là dove la soppressione dell’umano sembra essere l’unica via nella ricerca dell’empatia. Ricerca fallimentare ma che richiede ancora corpi, vittime. Attuazione del potere. Le couteau tue: il coltello uccide la giovane nel momento preciso nel quale lei pronuncia questa frase, frase che è il fine al quale tutta l’architettura sadica del professore tende fin dall’inizio. Il coltello affonda la lama nel ventre della povera sventurata, corpo spendibile che va ad aggiungersi, in una sorta economia residuale, a quello delle altre trentanove vittime odierne.

L’ignoranza uccide, certo. Ma il potere della conoscenza propone scenari che, spinti all’estremo, dimostrano la mancanza totale di un’empatia, di una comunità di intenti e di sensazioni. E quando gli esseri si pongono in una totale divergenza, in una lontananza che non offre alcuna comunanza, il termine “comunità” lascia il posto a quello di dittatura. Rompere il circolo infinito della violenza pura (la pièce termina esattamente là dove era iniziata: una nuova vittima suona alla porta) attraverso una riflessione sull’educazione oggi.

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foto © Michel Cavalca

Le choix symbolique de Christian Schiaretti de placer La Leçon d’Eugène Ionesco comme terminus de la saison 2013-2014 du Théâtre National Populaire de Villeurbanne, montre l’attention que ce théâtre possède envers l’éducation et l’actuation du pouvoir de la connaissance. Une pièce qui montre toute son actualité et qui fonctionne comme un miroir fatal: notre rire nous condamne à l’enfer d’un savoir violent et insensible.

Lo spettacolo è andato in scena:
Théâtre National Populaire
8 Place Lazare-Goujon – Villeurbanne
da martedì 3 a sabato 14 giugno 2014, ore 20.00 (lunedì chiuso)

Les Tréteaux de France in coproduzione con il Théâtre National Populaire presentano
La Leçon
di Eugène Ionesco
regia Christian Schiaretti
con Jeanne Brouaye (l’allieva), Yves Bressiant (la governate), René Loyon / Robin Renucci (il professore)
scenografie Samuel Poncet
costumi Thibaut Welchlin
luci Julia Grand
trucco Romain Marietti, Julie Brenot
assistente alla regia Joséphine Chaffin
http://www.tnp-villeurbanne.com/