La riunificazione delle due Coree: una danza lo salverà

indexVa in scena, nell’ambito della rassegna Napoli Teatro Festival, con la cornice magica di Castel Sant’Elmo, lo spettacolo di Joel Pommerat per la regia di Alfonso Postiglione. Tradite, purtroppo, le aspettative.

Così com’è bello da vedere, lo spettacolo è difficile da ascoltare. Teatro come catena di montaggio: gli attori sono schiavi di un testo imparato a memoria e riferito al pubblico senza visioni, tranne qualche rara eccezione. Con il timore di essere brutale, queste le prime impressioni dopo l’atteso La riunificazione delle due Coree, per la regia di Alfonso Postiglione, andato in scena a Castel Sant’Elmo di Napoli – gioiello in tufo giallo. Far convivere mondi differenti è una bella sfida, e lo spazio medievale sa accogliere le movenze e le coreografie semi-serie di Simona Lisi, le musiche elettriche di Paolo Coletta, le canzoni italiane da juke-box degli anni Sessanta. Tutto per raccontare un piccolo dizionario dell’amore. In aria di telenovelas e cronaca rosa. L’amore come paradosso, l’amore che si odia, l’amore mancato e l’amore incosciente, in La riunificazione delle due Coree il lato melodrammatico è fin troppo accentuato, fatta eccezione per la sublime scena tra il sacerdote e la prostituta, a nostro avviso la più straziante. Un momento in cui non si pensa più al finale e arriva forte e chiara la non-comunicazione tragicomica, che ghiaccia il sangue nelle vene. I due interpreti riescono – sottili, convincenti, capaci – a stendere il pubblico al tappeto.

Purtroppo è questa una delle poche scene saline, dove le parole sono vissute e trasmesse, e non solo pronunciate. Per il resto gli attori restano ancorati al suolo: pesi come macigni, senza passione.

La drammaturgia (del regista francese Joel Pommerat) funziona a intermittenza: a volte banale, altre dotata di inventiva, altre ancora divertente. Ogni vicenda ha un senso compiuto (se ne contano 19), indipendente dalle altre, e tratteggia l’amore come una specie di patologia o di disturbo.
«Ti amo ma ti lascio, non posso più stare con te».
«Ma cosa c’è che non va?»
«Niente».
«E allora?»
«E allora niente, non voglio più stare con te».
Questo nodo narrativo ricorre spesso, insieme a racconti più inusuali, al limite dell’assurdo. Tutto sembra però una continua citazione di stili e film, da Almodovar a In the mood for love e si ha la sensazione del già visto, del già sentito. Il linguaggio realistico, al limite col volgare, sembra quasi scippato a una fiction televisiva e questo dispiace molto, perché l’ossatura dei movimenti scenici e l’impatto emotivo della musica, insieme al design delle luci, potrebbero regalare quell’attimo ribelle – che si è fermato nella mente del regista.
Uno tra i rari momenti di qualità, che rende merito agli ideatori dello spettacolo, è il quadro dedicato a una donna che ha perso la memoria e vive ricoverata in una casa di cura. Il marito l’asseconda invano, ogni giorno, cercando di ripercorrere con lei la loro storia d’amore, fino a soddisfare i suoi impulsi fisici pur sapendo che lui, per lei, è uno sconosciuto. «Eravamo una coppia perfetta», ripete l’uomo in un sussurro che – almeno questo – scuote lo spettatore. In realtà, l’intero spettacolo potrebbe essere così – con meno moine e più liquido amniotico, attimi di oblio, di annullamento del pensiero. Volentieri si assisterebbe a un’ora e cinquanta minuti di danza come quella che, di tanto in tanto, rende più lieve il confine tra le due Coree, abbattendo il filo spinato. L’amore ha tanti io diversi, tra i quali la noia. E Alfonso Postiglione sembra saperlo bene.
Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito della rassegna Napoli Teatro Festival:
Castel Sant’Elmo – Sala Cannoni
vico Sant’Elmo, 8 – Napoli
da sabato 13 a martedì 16 giugno
Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro in collaborazione con La Corte Ospitale e Armunia Festival InEquilibrio presentano:
La riunificazione delle due Coree di Joel Pommerat
traduzione Caterina Gozzi
regia Alfonso Postiglione
con Sara Alzetta, Giandomenico Cupaiolo, Biagio Forestieri, Laura Graziosi, Gaia Insenga, Armando Iovino, Aglaia Mora, Paolo Musio e Giulia Weber
scene Roberto Crea
costumi Marianna Carbone
musiche Paolo Coletta
scrittura fisica Simona Lisi