Da Rosarno a Sondrio: l’immagine di un’Italia spremuta

policampus-sondrioSabato 7 dicembre l’associazione Gastellina, impegnata sul territorio valtellinese in un’attività di acquisto solidale, critico e consapevole, ha incontrato i produttori di arance di SOS Rosarno, portando sul palco della Sala Policampus di Sondrio La spremuta di Beppe Casales.

Il titolo del monologo, autoprodotto e vincitore del Premio L’iNUTILE del Teatro 2013, è un’immagine di quotidianità e, insieme, l’incarnazione di un’Italia schiacciata, stretta tra la morsa delle mafie e quella, altrettanto soffocante, dell’indifferenza.

La spremuta potrebbe mettere in scena la Rosarno del 7 gennaio 2010, la Rosarno delle rivolte dei migranti che hanno riempito le pagine dei giornali di quel periodo, per poi essere, come sempre, dimenticate. Ma non lo fa. Non è un fatto di cronaca che il teatro civile e politico di Beppe Casales vuole portare in scena, non sono gli scontri con la polizia né la caccia al nero.

Sono le vite, le singole esistenze dei suoi due protagonisti a riempire questa storia, a umanizzarla, a toglierle l’involucro del mero fatto di cronaca che non ci riguarda e a farcela sentire sulla pelle. Rosarno non è quella dei telegiornali, dei trafiletti sulle testate nazionali. Rosarno sono Daniel e Antonio, emblemi di rabbia e disperazione.

Daniel Allen è un ragazzo africano, poco più che ventenne, che vorrebbe poter continuare a studiare economia in quell’Italia che tutti gli hanno detto essere abitata da persone simpatiche e gentili. E così si mette in viaggio, attraversa deserto e mare, in quelle condizioni che per noi sono soltanto immagini chiuse nella scatola televisiva, ma che per lui valgono il prezzo della speranza di un futuro migliore.

Antonio ha la sua stessa età, ma un cognome che pesa molto di più. Bellocco, un cognome che sa di ‘Ndrangheta, quella che l’ha cresciuto e nutrito come una seconda madre, come una pelle che non si stacca.

Le due storie si sovrappongono, tessute dalla voce calda di Casales, dal suo tono a volte ironico a volte duro e fermo come un pugno nello stomaco. Sembra quasi che i due ragazzi prendano vita dalle sue parole, che escano dalla sua voce e dai suoi gesti, che abbiano l’odore di quelle arance che sono l’unico oggetto della scena.

La rabbia e il dolore si fondono con i colori vivaci degli agrumi, le parole dell’attore si mischiano a stralci di trasmissioni televisive e radiofoniche in cui imperversano i commenti razzisti dei leader della Lega.

E intanto i migranti di Rosarno, che raccolgono ogni giorno le arance in condizioni di schiavistico sfruttamento, subiscono violenze, vengono feriti, muoiono. Nessuno sembra vedere niente, in un paese – l’Italia, e non solo il sud – il cui monito è sempre stato quello del “non vedo, non sento, non parlo”.

Finché loro, i migranti, nel vedere i propri fratelli feriti o uccisi non ce la fanno più e alzano la testa. Non hanno ancora assorbito l’omertà italiana e ci danno una grande lezione, mentre noi ci giriamo dall’altra parte, verso quell’indifferenza data soltanto dal fatto che non è (ancora) toccato a noi.

Il 7 e 8 gennaio 2010 riempiono le strade di Rosarno, faccia a faccia con la mafia.

Ed eccoli, Daniel e Antonio, uno di fronte all’altro. Il succo delle arance rosse è il sangue che Antonio vorrebbe vedere scorrere dal corpo di Daniel, mentre la mafia punta la sua pistola contro una speranza nascosta dietro una spranga improvvisata.

Casales dà forma e sostanza, attraverso la sua narrazione che ci fa vedere i due ragazzi come se fossero fisicamente sulla scena, allo scontro tra rabbia e dolore, tra umanità e sete di potere. Sembra di essere lì, a Rosarno, in quel piccolo spazio che separa Daniel e Antonio, prima che la polizia li allontani, prima che il ragazzo africano venga sgomberato insieme a tutti i suoi compagni, e l’altro finisca in carcere.

L’eccezione e la regola, potremmo dire con Bertold Brecht, autore che Casales cita in chiusura dello spettacolo. La regola che è l’abbassare la testa, cancellando i crimini mafiosi con il solo fatto di non definirli tali (“la vaghezza aiuta chi cerca di nascondere le cose”, mi dice poco dopo Casales). L’eccezione di chi, nonostante tutto, si ribella alle ingiustizie e combatte la sua battaglia, a costo di rischiare la vita.

Non resta che fare nostro il messaggio di Casales, che con le sue più di cento repliche di questo spettacolo, ha portato Rosarno in tutto il paese, ha portato in giro tutti quei Daniel e quegli Antonio di cui non si parla in televisione e sui giornali, riuscendo a personalizzarli, a renderli reali, vivi.

E – vi preghiamo – quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto: “è naturale” in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile” – Bertold Brecht, L’eccezione e la regola.

Era il 1930.

Lo spettacolo è andato in scena
Sala Policampus
Via Tirano snc – Sondrio
il 7 dicembre, ore 20.45

La Spremuta
di e con Beppe Casales