Il mondo mi è incomprensibile: aspetto che qualcuno me lo spieghi

Teatro-Linguaggi-CreativiA Linguaggi Creativi va in scena uno tra i tanti testi geniali di Ionesco, Le sedie, abilmente interpretato da Monica Bonomi e Amedeo Romeo – anche nelle vesti di regista.

Ionesco è il Beckett francese. Non perché appartengono entrambi al cosiddetto teatro dell’assurdo questa equazione ha necessariamente senso.

Il teatro di Beckett lascia attoniti, quasi svuotati per lo sconforto che emerge dai testi: il riso dianoetico permette di riconoscere la tragedia dell’esistenza, ma resta amaro, quasi nichilista. In Ionesco, al contrario, il riso è ironico, conserva quasi sempre una scintilla di poesia: le sue allegorie, dopo la consapevolezza dell’assurdo e del non-sense, trasmettono una spinta vitalistica, una voglia di costruire e di lottare proprio contro l’assurdo, piuttosto che la volontà di abbandonarsi all’invincibile insensatezza dell’esistenza. “Che ne è stato delle rose di un tempo?”: è una tra le tante battute che esprimono la luce che, in qualche modo, emerge dai suoi testi – vi è insita l’amarezza per una vita che è ormai al limitare e che è stata molto meno di quello che ci si aspettava, ma risuona, allo stesso tempo, come un’ultima e invitta dedica d’amore, un barlume che non si è mai spento definitivamente.

A evidenziare gli aspetti migliori di Le sedie, la semplice ma intensa scenografia di Alice Manieri: pochi pannelli e una gradinata riescono a dar vita alle immense stanze della torre-magione nella quale vivono, isolati da anni, Il Vecchio e La Vecchia. La trovata geniale della regia di Amadeo Romeo – che rende anche visivamente surreale la situazione dei coniugi – è quella di usare delle sedie minuscole, da casa di bambola, per rappresentare la numerosissima folla di fantasmi accorsi ad ascoltare il messaggio dell’Oratore. Un esempio interessante di come i limiti materiali – quali la sala molto piccola – possano, talvolta, trasformarsi in risorse efficaci per sbrigliare la fantasia.

Entrambi i protagonisti sono perfetti e realistici nel rendere la complicità e la dedizione – a volte morbosa, altre ridicola – di due anziani, che hanno attraversato tutte le sfumature di una vita di coppia durata 80 anni. Non si avvertono mai cali di tensione né tempi morti, e questo perché, anche le più piccole e “insigificanti” battute, sono vivificate da scelte di mimica facciale e corporea perfettamente padroneggiate, esenti da approssimazioni o superficialità. Un trucco quasi clownesco rende ancora più surreali i personaggi, facendoli rassomigliare, talvolta, a dei burattini, talaltra a dei fantasmi reali ma impalpabili, quasi fossero mobili vecchi abbandonati alla polvere e vivificati dai pulviscoli di luce che, di tanto in tanto, li accarezzano.

Proprio grazie allo stratagemma delle sedie mignon – con le quali gli interpreti si destreggiano quasi stessero facendo “il gioco della vita che avrebbero voluto” – e al trucco anti-naturalistico, si ottiene una resa perfetta del senso di farsa paradossale che portano avanti i coniugi: la loro condizione è chiaramente un’allegoria dell’assurdità dell’esistenza, dell’incomunicabilità, della vecchiaia come momento topico, povero di emozioni e passioni, dominato da rimpianti e nostalgie. Ma il testo di Ionesco non è solo questo, è altresì la volontà di un riscatto, in extremis, assurdo e, allo stesso tempo, dovuto: i due anziani si suicidano proprio nel momento in cui si sono elevati alla massima importanza per loro possibile: hanno puntati addosso gli occhi di tutti i loro convitati d’aria (e non già di pietra) e il re stesso è giunto per garantire la propria attenzione al messaggio che l’Oratore deve trasmettere all’umanità. Ma l’Oratore è muto e non sa articolare alcun suono di senso compiuto, solo mugugni: il senso della vita è incomunicabile, del tutto inspiegabile. Non a caso, “Il mondo mi è incomprensibile: aspetto che qualcuno me lo spieghi”, avrebbe detto Ionesco durante una conferenza.

Anche in questo finale notevole la scelta registica di sostituire l’attore-oratore con un videoproiettore vecchio stile che rende ancora più impalpabili e insensate le aspettative che i coniugi hanno saputo suscitare nel pubblico rispetto al messaggio da diffondere. Proprio come nella vita si aspetta che il finale ci restituisca un senso, una prospettiva più chiara, ma tutto finisce con uno schermo buio e, forse, quando va bene, l’eco dell’applauso di qualcuno.

Lo spettacolo è andato in scena:
Linguaggi Creativi
via E. Villoresi, 26 – Milano
fino a lunedì 4 marzo, ore 20.00

Le sedie
di E. Ionesco
regia Amedeo Romeo
con Monica Bonomi e Amedeo Romeo
assistenti alla regia Lucia Luce Ghisellini e Rosa Leo Servidio
scene di Alice Manieri