Oltre Prometeo

Teatro-Colombo-di-ValdottavoPer la rassegna Teatro Impossibile, Papalagi e Associazione A.E.D.O. al Teatro Colombo con uno spettacolo sulla possibilità di redenzione dalla sofferenza che circonda l’uomo.

L’introduzione di Mario Betti (direttore del Centro di Salute Mentale di Fornaci ma anche ottimo interprete della serata), che ha accolto il pubblico in sala, annuncia da subito quale sia la destinazione dello spettacolo, ossia la realizzazione “dell’esperienza psicoterapeutica e artistica […] del Teatro della Trasformazione”.

La Compagnia Teatrale Papalagi, tuttavia, nata come evoluzione di una decennale attività in collaborazione con diversi Enti preposti alla cura psicofisica (dal centro diurno Tuiavii di Tiavea di Fornaci di Barga a quello di Salute Mentale della zona Valle del Serchio) porta oggi avanti “un percorso di svincolo dai canali istituzionali del servizio di salute mentale”, consapevole di come i propri lavori abbiano ormai maturato una valenza slegata alla mera funzione di “recupero”.

Infatti, Le voci della Metamorfosi, pur mantenendo intatta la finalità sociale tipica dell’esperienza teatrale (che va dalle prove alla messa in scena) di crescita (privata) attraverso l’interazione (pubblica), rappresenta un progetto ambizioso anche dal punto di vista prettamente artistico.

Ritenendo funesta (più che obsoleta) l’idea che un diversamente abile possa/debba approcciarsi al teatro solamente rendendo invisibile l’autenticità della propria condizione (ovvero trovando per la propria alterità una collocazione credibile rispetto alla decisione insindacabile di chi si fa metro di normalità), non si potrà che restare ammaliati dagli episodi portati sul palco del Teatro di Colombo dalla Compagnia Teatrale Papalagi e dal suo mentore, il regista/attore Satyamo Hernandez. A entrambi, infatti, potrebbe idealmente essere riconosciuta la cifra del teatro povero di Grotowski, la comune concezione secondo la quale il lavoro attorale e registico sarebbe essenzialmente un intimo percorso psicofisico (uno tra i possibili) capace di promuovere lo sviluppo dell’energheia (l’aristotelica capacità di attuare la propria forma) collettiva e individuale. Siamo, dunque, di fronte a un spettacolo che brilla in modo particolare proprio pensando al cammino della sua preparazione, a quelle prove che, pur dovendosi concludere necessariamente con un prodotto da sottoporre di volta in volta al giudizio del pubblico, costituisce il senso più profondo del viaggio che gli “attori” (della vita) compiono alla libera ricerca e/o al consolidamento della propria identità.

Nel caso di questo allestimento e della sua caratura artistica, a colpire particolarmente sono state la pertinenza delle scenografie e dei costumi (realizzati in parte dallo stesso cast), le musiche in new age style e, soprattutto, la padronanza scenica di interpreti in grado di non perdere mai la direzione narrativa. Quella via maestra imposta dal dover portare a termine una messa in scena (operazione affatto semplice) che – nonostante il rischio di un drammatico “smarrimento” costituito da momenti anche frenetici, dalla partita di calcio alla scelta di Prometeo – è stata tenuta con grande capacità di adattamento a quegli imprevisti che rappresentano intrinsecamente l’evento dello “stare sul palco” (della vita).

La trama dipana in successione e con ordine il “filo conduttore” di “esperienze intime e profonde […] sentire la paura degli altri, la vergogna, la solitudine […] sentirsi addosso l’incomprensione […] e un incolmabile bisogno d’amore”, mostrandoci il volto di un destino caotico che accomuna tutti e che giunge significativamente al climax con la figura di Prometeo. Un caos, allo stesso tempo, intimo e scenico espresso con urla che sembrano uscire dalla coscienza dei personaggi (oppure dalla nostra?) e con voci sommesse ma assordanti che, provenendo dagli attori entrati in platea alle spalle del pubblico, sembrano volerci mettere di fronte all’evidenza di accuse che chiunque – magari in maniera latente – potrebbe aver vissuto («cercati un lavoro, non ti voglio vedere, fallito vai via, non vali niente!»). Continue incursioni oltre la quarta parete per ribadire, attraverso la sublimazione artistica, come la realtà sia fluida e che, nel suo scorrere, non sussista alcuna forma vitale cristallizzata.

Da parte sua, Prometeo, il titano cui la mitologia attribuisce il ruolo di benefattore dell’umanità, è rappresentato, al contrario, ingordo ed egoista, metafora di una individualità che non riesce a scegliersi e simbolo da cui liberarsi perché esempio di incoscienza e leggerezza (di ogni singolo nei confronti di se stesso e degli altri). Se il cerchio delle responsabilità non si esaurisce all’ambito personale ma lega – nel libero arbitrio – tutti i viventi, ecco che Prometeo posto di fronte all’aut aut tra inferno e paradiso (per sé e i suoi compagni), cercando di “avere tutto” finisce per creare nel proprio animo strazianti forze antitetiche (spirito apollineo o dionisiaco?) e le catene con le quali si lascia incatenare alle proprie non-decisioni.

Senza patire una tempistica drammaturgica disomogenea e iperlineare nella sua sequenzialità, lo spettacolo si offre potente nella forma e nei contenuti, facendo della necessità di dover seguire una linea narrativa forte e netta (scandita dalla evidente regolarità ritmica delle musiche dello stesso Hernandez) una virtuosa bussola capace di dirigere rettamente i propri interpreti (una compagnia, ricordiamo, mista nella sua composizione di “utenti ed operatori del centro di salute mentale, operatori teatrali ed altre persone”, di ben 17 membri tra attori e attrici) e di affermare un’idea positiva del cambiamento. Perché se la metamorfosi è l’unica modalità reale dell’essere libero al di là delle costrizioni imposte dall’esterno (lo scarafaggio Gregorio Samsa di kafkiana memoria) e dall’interno (Prometeo), allora essa va intesa come apertura autentica alla vita, affermazione palese del potere della diversità di sconfinare oltre le potenzialità umane, altrimenti limitate quando costrette all’omogeneità.

Un messaggio forse politically correct e non privo di sbavature, ma che grazie alla “gaia” sincerità dei suoi interpreti risulta straordinario.

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foto di Daniele Rizzo

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Colombo

venerdì 17 maggio, ore 21.00
via comunale 30, Valdottavo, Borgo a Mozzano

Rassegna Teatro Impossibile
Le voci della metamorfosi: prove pubbliche di trasformazione artistica
ispirato al testo “La Metamorfosi” di F. Kafka
regia Satyamo Hernandez
scenografia e costumi il cast, Vera Scalia
musiche Satyamo Hernandez
luci e fonica Tiziano Gonnella, Abha Federica Mariano
con Vito Amidei, Enzo Aprili, Mario Betti, Sergio Bertoncini, Mariangela Biagioni, Ilaria Esposti, Massimo Forischi, Clelia Giovannini, Sandro Gonnella, Satyamo Hernandez, Anna Massaccesi, Moreno Mazzanti, Claudia Rossi, Alessandro Serra, Massimo Tazioli, Andrea Venturelli, Bruno Vitali