Musica e teatro: le affinità elettive

bouffes-du-nordSe, in un teatro carico di fascino e di storia come Les Bouffes du Nord, un regista del calibro di Denis Podalydès fa reagire elementi come un testo di Čechov, sonate di Bach, Berio e Tchaikovski, e l’incredibile presenza scenica di Michel Robin, la platea non potrà che osservare tra risate e sorrisi malinconici il dolce risultato dell’esperimento, Les Méfaits du Tabac.

La sala a ferro di cavallo, con le sue due balconate, è sovrastata da un alto soffitto di legno, che in qualche modo ricorda un fazzoletto di pizzo; al centro un’ampia struttura ad arco sembra la porta spalancata di un tempio, circondata da muri rossi un po’ scalcinati che si aprono verso il fondo buio del palco. C’è qualcosa di sacro e antico a Les Bouffes du Nord. Ora la scena è contornata da custodie di violino aperte, strabordanti di vecchi spartiti. Qualche sedia, qualche leggio, un pianoforte a coda. Metronomi seminati ovunque scandiscono il tempo.
Per primo entra Michel Robin, dinoccolato, il passo affaticato dalla vecchiaia, gli occhi intensi e guardinghi come quelli di un bambino, si aggira sul palco, esce rientra spia, impossibile non ridere alle sue incursioni. Al centro della scena, ora, tre donne, antiche d’abiti acconciatura espressione: la pianista (Emmanuelle Swiercz) e la violinista (Floriane Bonanni) suonano la Sonata n°1 per violino e piano di Bach, mentre Muriel Ferraro gira lo spartito come se da lì potesse uscire una verità o una storia.
Tra questo brano, pregno di dolce nostalgia, e l’ultimo, la più austera Partita n° 2 in do minore, sempre di Bach, che insieme fanno da cornice allo spettacolo, Robin prende la parola nel ruolo di Nioukhine, unico personaggio del testo I danni del tabacco di Čechov. Siamo in una scuola di musica e la direttrice, sua moglie, forse per tirare su un po’ di soldi, gli ha chiesto di tenere una conferenza appunto sui danni del tabacco. Si rivolge al pubblico in un gomitolo di introduzioni parentesi e divagazioni. In realtà tutto il tempo a sua disposizione lo userà per lamentarsi di una vita intera passata sotto le grinfie di questa moglie che a breve dovrebbe arrivare ma che non vedremo mai, una sorta di Godot di cui chiedersi: chissà se esiste? Da sempre lei lo sfrutta, gli fa fare tutti i lavori della scuola di musica, a volte non gli dà neanche da mangiare. Nemmeno le sei o sette figlie – non ricorda bene – lo sostengono o ascoltano. Ci chiediamo se le tre musiciste sul palco rappresentino appunto le figlie, o invece delle allieve della scuola, o se forse siano solo fantasmi nella mente di Nioukhine. Docili, a una sua richiesta, suonano e cantano Tchaïkovski. Ma vediamo la violinista trasformarsi in crudele coltello quando Robin, invocando, nella vecchiaia di questa vita perduta, “solo un po’ di riposo”, si abbandona su una sedia: non ha più addosso la giacca ma un gilet, sdrucito come lui. Accanto a lui, solo come lui, illuminato nel buio come lui, suona il violino. È la Sequenza VIII di Luciano Berio: pugnalate disordinate, graffi accaniti e ripetitivi, deboli respiri spossati; e anche quando la musica si trasforma nel debole pianto sfinito della vecchiaia, altri graffi violenti e inattesi tornano a scagliarsi sull’uomo stremato. Nioukhine segue la musica inizialmente a occhi chiusi: quando li apre li leggiamo abbandonati e indifesi, vorremmo salvarlo dalle unghie di quell’archetto mentre si guarda intorno cercando nelle figlie inesistenti appigli. Accanto a questo violino (che rappresenta il suo stato d’animo? O la musica della sua vita?), Robin si offre in dono al pubblico, nudo e vulnerabile.
Ma d’un tratto si alza, indossa di nuovo lo sguardo vispo e la giacca – come se Nioukhine stesso tornasse ad essere il personaggio della propria vita, di nuovo in scena, davanti al pubblico della conferenza. Pare che la moglie sia arrivata, ancora due parole sul tabacco per farle credere di aver davvero tenuto la conferenza. Infine, mentre le tre donne – o parche – tessono la fine dello spettacolo con le maglie della Partita n° 2 di Bach, lui torna a spiare e, vistosamente disdegnato dalle giovani musiciste, si gode la musica con la gioia malinconica di un vecchio.
La leggerezza sorridente di Robin veste d’ironia il racconto di un’esistenza inutile, terrorizzata e schiacciata da sprezzanti presenze femminili, e l’attesa di Godot diventa viva, scorrono risate stanchezza ferite musica. Teatro e vita sembrano attraversati da un’aria di dolce malinconia.
Un incredibile dialogo tra musica e testo, tanto fitto da creare una terza partitura. Non uno spettacolo teatrale, non un concerto, qualcosa di nuovo: gli elementi reagiscono e danno vita ad una nuova sostanza.

Si, dans un théâtre chargé de charme et d’histoire comme Les Bouffes du Nord, un metteur en scène de grande envergure tel que Denis Podalydès fait réagir des éléments comme un texte de Tchekhov, des sonates de Bach, Berio et Tchaikovski, et l’incroyable présence scénique de Michel Robin, le public ne pourra qu’observer, entre des rires et des sourires mélancoliques, le doux résultat de l’experiment.

Lo spettacolo è andato in scena:
Théâtre des Bouffes du Nord
37 (bis), bd de la Chapelle – Parigi
dal 18 al 22 marzo e dal 1 al 12 aprile
orari: da martedì a sabato alle 19.00

Théâtre des Bouffes du Nord presenta
Les Méfaits du Tabac
di Anton Čechov
regia Denis Podalydès
con Michel Robin, Floriane Bonanni, Muriel Ferraro, Emmanuelle Swiercz
musica Jean-Sébastien Bach, Luciano Berio, Piotr Ilitch Tchaïkovski
ideazione dello spettacolo Floriane Bonanni
assistente alla regia Elodie Huber
scenografia Delphine Sainte Marie
costumi Christian Lacroix
assistente costumi Jean-Phlippe Pons
luci Stéphanie Daniel